Violenze in carcere: interdizione per provveditore Campania

I carabinieri di Caserta hanno eseguito 52 misure cautelari emesse dal gip su richiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nei confronti di appartenenti al corpo della polizia penitenziaria coinvolti negli scontri con i detenuti che avvennero il 6 aprile 2020, in pieno lockdown, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Una protesta innescata da centinaia di carcerati dopo la notizia di un caso di positività al Covid-19 tra le mura dell’istituto casertano, dove vennero inviati da Napoli contingenti dei reparti speciali della Penitenziaria.

La misura cautelare è stata emessa nell’ambito dell’indagini sulle violenze avvenute nel carcere casertano, il 6 aprile 2020, in pieno lockdown, durante una protesta dei carcerati. Il provveditore regionale delle carceri della Campania Antonio Fullone, è accusato di falso e depistaggio, a lui è stata notificata una misura cautelare di sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio. Cinquantadue in tutto, le misure cautelari emesse su richiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Dall’analisi delle chat acquisite dai cellulari degli indagati sarebbe emersa la volontà del provveditore di dare una connotazione particolare alle perquisizioni.
Per gli inquirenti, infatti, il reale scopo delle perquisizioni, che vennero disposte dopo una protesta, era dimostrativo e preventivo. Una sorta di segnale per la Polizia Penitenziaria che nei giorni precedenti aveva chiesto una risposta ai disordini avvenuti nel reparto Nilo.

Tra i detenuti in isolamento, uno perse la vita, il 4 maggio, quasi un mese dopo la perquisizione, per l’assunzione di un mix di oppiacei. Come spiegato dalla Procura, si trattava di un prigioniero affetto da schizofrenia, spostato in isolamento, per gli inquirenti, senza una visita preventiva. In relazione a questa morte, è stato spiegato in una conferenza stampa, ritenendo quel gesto conseguenza delle torture, la Procura ha contestato il reato di morte come conseguenza di un altro reato (la tortura, appunto). Una impostazione non condivisa dal gip che invece ha ritenuto di classificare l’evento come suicidio.

Gli atti di violenza si sarebbero prolungati per circa quattro ore nel pomeriggio del 6 aprile, con pratiche che la procura definisce “violente, indegne, degradanti e inumane” e messe a punto esclusivamente a fini “punitivi o dimostrativi”. Con l’acquisizione dei video, nonostante tentativi di “ritardare – si legge in una nota diramata dalla procura – o impedire l’acquisizione delle immagini” e “ostacolare il regolare svolgimento delle operazioni”, è stata accertata “in modo inconfutabile” la dinamica violenta, degradante e inumana che aveva caratterizzato l’azione del personale impiegato nelle attività , persone tra l’altro difficilmente riconoscibili perchè munite di dispositivi di protezione individuale ma anche di caschi antisommossa, oltre che di manganelli e di un bastone. “Il personale di polizia penitenziaria aveva formato un “corridoio umano” al cui interno erano costretti a transitare indistintamente tutti i detenuti dei singoli reparti, ai quali venivano inflitti un numero impressionante – fa sapere la Procura – di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscivano in alcun modo ad evitare”.

L’ufficio inquirente guidato da Maria Antonietta Troncone (le indagini dei carabinieri di Caserta sono state coordinate del procuratore aggiunto Alessandro Milita e dai sostituti procuratori Daniela Pannone e Alessandra Pinto) aveva chiesto misure cautelari per 99 indagati ma il Giudice, malgrado abbia riconosciuto la gravità indiziaria per 62 soggetti, ha ritenuto opportuno emettere 52 misure cautelari sulla base della sussistenza della pericolo di reiterazione del reato (sono quasi tutti in servizio). Nell’inchiesta, complessivamente, sono oltre 110 le persone indagate. Gli arresti riguardano quasi esclusivamente agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere: quella sera intervennero ben 283 poliziotti, un centinaio provenienti da Napoli Secondigliano, altri da un carcere dell’Avellinese. Di quelli provenienti da strutture penitenziarie diverse da quella casertana solo pochi sono stati riconosciuti dai detenuti (appena due, e sono di Secondigliano). “La presunzione di innocenza è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale e quindi credo si debbano evitare illazioni e gogne mediatiche. A noi sembrano provvedimenti abnormi- dichiara il segretario generale Donato Capece- considerato che dopo un anno di indagini mancano i presupposti per tali provvedimenti, ossia l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato ed il pericolo di fuga. Confidiamo nella magistratura perchè la Polizia penitenziaria, a Santa Maria Capua Vetere come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere”. Tina Cioffo

 

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