Qual è il valore di un anno di lavoro in più ai fini del calcolo della pensione? Vediamo come può cambiare l’assegno mensile.
Le strade per andare in pensione sono molteplici e, accanto ai requisiti per ottenere il trattamento pensionistico di vecchiaia, vi sono percorsi alternativi per poter interrompere l’attività lavorativa prima del tempo. Chiaramente, sulla base di tutto ciò e nella fattispecie del requisito anagrafico, di quello relativo ai contributi versati e dall’anno di inizio del proprio lavoro, si andrà a tenere conto ai fini del calcolo dell’assegno mensile spettante, il cosiddetto cedolino pensionistico.
Le regole per calcolarlo non sono così facili da comprendere anche in virtù della distinzione tra sistema contributivo, retributivo e misto. E a tal proposito, la domanda che in tanti si pongono è quanto valga un anno di lavoro in più sulla pensione. Ovvero cosa sia possibile guadagnare andando a rinviare l’avvio del trattamento pensionistico più in là nel tempo.
Un anno in più di lavoro: come cambia l’importo della pensione?
Non è facile stabilire quanto incida un anno di lavoro in più sull’importo finale della pensione ma è possibile capirlo mediante una serie di esempi. Iniziamo col dire che ammonta al 33% della retribuzione quanto destinato da un lavoratore dipendente alla futura pensione. Si tratta, infatti, dell’aliquota contributiva in vigore nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti. Pertanto interrompere il lavoro prima dei 67 anni o del quantitativo minimo di contributi richiesti significa fermare il versamento dei contributi bloccando la possibilità di ricevere una pensione più elevate.
Facendo un esempio, nel caso di una retribuzione lorda di 30mila euro pari a 2300 euro al mese circa, vengono messi da parte ogni anno circa 9.900 euro per la pensione. Creando in tal modo il montante contributivo. Andare a rimandare anche solo di un anno l’accesso alla pensione, non soltanto tale montante andrà considerevolmente ad aumentare, ma potrà beneficiare anche di un secondo importante vantaggio ovvero di un coefficiente di trasformazione dell’accumulo in rendita più elevato.
Tali coefficienti hanno valori collegati all’età e sono dunque molto variabili nell’intervallo anagrafico compreso tra 57 e 71 anni. Basti pensare che, mediamente, vanno dal 4,27 al 6,66%. Pertanto, anche a parità di montante, uscire ad un’età più avanzata comporterà un aumento della pensione. Per fare un altro esempio, avere un montante di 400mila euro e decidere di uscire dal lavoro a 65 anni anziché a 64 (mediante Quota 103) comporterà un incremento del trattamento pensionistico di circa700 in più all’anno solo per il calcolo mediante nuovo coefficiente. Inoltre ad esso si aggiungeranno altri 500 euro ogni anno derivanti dagli extra contributi versati.