Con il sequestro di una discarica abusiva realizzata in un capannone di San Severo (Foggia) dove erano state illecitamente ammassate 600 tonnellate di ecoballe di rifiuti indifferenziati riconducibili a scarti tessili, di plastica gomma e legno e che avevano prodotto pesanti esalazioni già a fine agosto 2017, è stato scoperto il traffico e smaltimento illecito di rifiuti in aree non autorizzate. Sui traffici, interviene Claudia Salvestrini, direttrice del Consorzio Polieco.
“Migliaia di tonnellate di rifiuti che dovrebbero essere recuperate o smaltite e che invece finiscono abbandonate in capannoni illegali, per mano di criminali sempre più spregiudicati ed organizzati: è una situazione allarmante, dinanzi alla quale bisogna intervenire prima che si continuino a fare danni all’ambiente, all’economia legale e alla salute delle persone”. Ad intervenire, riferendosi alla recente inchiesta giudiziaria coordinata dalla Dda di Bari che ha portato alla luce un ingente traffico di rifiuti dalla Campania alla Puglia, è la direttrice del consorzio nazionale dei rifiuti dei beni in polietilene, Claudia Salvestrini, che da anni tiene accesi i riflettori sul fenomeno. “E’ gravissimo che nei capannoni sequestrati dal Noe di Bari e dalla Guardia di Finanza di Foggia siano state rinvenute più di diecimila tonnellate di rifiuti con codice cer 191212, ossia rifiuti che provengono da attività di trattamento meccanico effettuate in impianti di valorizzazione delle plastiche da imballaggi”, osserva Salvestrini, che in più occasioni, ha ribadito la natura endemica di un problema che nasce soprattutto “da una raccolta differenziata basata più sulla quantità che sulla qualità, con il risultato di frazioni residue che sono difficili da recuperare o smaltire e che così prendono le strade più illecite e pericolose”. Salvestrini in questi anni ha tenuto il conto dei roghi dei capannoni, che sono diventati, nella pratica, la nuova modalità di tombamento dei rifiuti.
“Il problema del codice 191212, che chiamo ‘l’insalata russa dei rifiuti’ è che si perde totalmente la tracciabilità dei flussi”, sostiene Salvestrini, sottolineando che “il paradosso è che il recupero o lo smaltimento di questi rifiuti, che finiscono nei siti abusivi, nei fatti sono già inseriti in un flusso economico e spesso hanno come destinazione, evidentemente impianti di destinazione compiacenti, nei quali arrivano solo sulla carta. Chi ci dice poi che non vengano mescolati dagli ecocriminali con rifiuti pericolosi?”. La direttrice non ha dubbi: “Se non si interverrà per porre fine ad un mercato così drogato, si finirà per alimentare il flusso illegale, che poi sia nazionale o transfrontaliero, poco conta. Il risultato è che, dopo 30 anni, dai rifiuti tombati dal clan dei Casalesi ad oggi, nulla è cambiato, anzi adesso scopriamo che, in realtà, le vere Terre dei fuochi non riguardano solo un territorio, ma sono sparse in varie parti d’Italia e del mondo”.
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