Se Antonio Bardellino fosse ancora vivo, l’eredità del clan dei Casalesi

di Tina Cioffo– “I figli dei camorristi sono destinati a fare i camorristi e imparare quella cultura”. Lo scriveva nel 2008 il collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi, Domenico Bidognetti. Lo dice Roberto Di Bella, giudice in Calabria e lo raccontano le cronache quotidiane e giudiziarie.

I camorristi succhiano il sangue degli onesti cittadini, commercianti, imprenditori ma sono dei buffoni quando nessuno li denuncia e basta una denuncia per impaurirli come conigli che scappano davanti a degli spietati cacciatori. Sono bravi solo in gruppo. Sanno approfittare dei bravi e dei buoni ma sono dei vigliacchi”. Correva l’anno 2008 e Domenico Bidognetti lo scriveva in una lunga lettera manoscritta indirizzata ai giovani di Casal di Principe per convincerli a stare lontani dal clan dei Casalesi e da tutte le altre forme di criminalità organizzata. Lo faceva già da collaboratore di giustizia. Era il 15 marzo quando dal carcere di Rebibbia il fax arrivò all’allora pm della Dda di Napoli, Giovanni Conzo, ora alla Procura di Benevento. Non sapeva quello che sarebbe accaduto più tardi con la stagione di fuoco di Giuseppe Setola, ora ergastolano. Il padre Umberto Bidognetti, dopo la lettera fu ammazzato, quelle parole vanno però riprese. “Io me ne sono accorto tardi, non ero nato per fare quello che ho fatto, ho commesso il male, il terrore (…) sono pentito di tutto ma – è scritto nella lettera- la goccia che fece traboccare il vaso è quando mia figlia, mi disse che si doveva incidere sul polsino della camicia le mie iniziali perché così alla cassa, vedendole non l’avrebbero fatta pagare. In quel momento mi cadde il mondo addosso, volevo morire. I miei figli stavano seguendo le mie orme”.

Automatismo da spezzare: figli e nipoti da salvare

I figli avrebbero seguito il padre e così a ripetizione se Domenico Bidognetti non avesse deciso di spezzare quella catena infernale. Ha cominciato a collaborare con la giustizia, ma la sua scelta non l’hanno fatta gli altri. Quella catena, per alcune famiglie di camorra, regge ancora le fila del destino di bambini e bambine, vittime innocenti vive di una camorra vigliacca che non conosce onore né dignità. Combattere per il riscatto contro i camorristi, vuol dire preoccuparsi anche dei loro figli e nipoti. Il giudice Roberto Di Bella presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, al quale è stato recentemente assegnato il Premio nazionale Don Peppe Diana, lo ha capito fino in fondo, allontanando i minori dalle famiglie di ndrangheta per offrire loro una scelta diversa. Un’alternativa che i ragazzi di camorra del Casertano e del Napoletano non hanno ancora. Non ce l’hanno i figli e i nipoti di Michele Zagaria e dei suoi fratelli e non ce l’hanno gran parte dei discendenti degli affiliati che non si sono pentiti. Francesco Bidognetti alias ‘cicciotte e mezzanotte’ è uno dei tanti. Non solo nei patrimoni economici anche negli affetti è necessario colpirli. Per punire sì, ma soprattutto per salvare altre vite. “Il clan rischia di riorganizzarsi”, ha tuonato il Procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, il 19 marzo a Casal di Principe. E allora l’automatismo deve essere rotto e subito, perché il perpetuarsi della cultura camorristica sta già dando i suoi frutti.

L’ordine di Antonio Bardellino

Le forme sono diverse. L’atteggiarsi a ‘capetto’, sfidando con lo sguardo dal finestrino aperto della macchinina guidata senza patente, non è solo un fenomeno folcloristico, degno delle pellicole cinematografiche. Non si spara ma si continua ad inquinare e a tentare di infiltrarsi nella politica e nelle amministrazioni comunali. La politica rappresenta ancora un obiettivo appetibile per finanziare film, per costruire alberghi, palazzi e per ormeggiare barche. Oltre che aprire negozi e se uno viene sequestrato, poco male ce ne è già un altro. Basta spostarsi solo di qualche metro. E accade che dall’abbigliamento sequestrato si passa ai profumi, le essenze alla francese che però non riescono a coprire il puzzo del malaffare. Non si uccide con il fuoco ma con la penna di persone asservite e pagate, avendo come unico obiettivo delegittimare per evitare che il consenso sociale possa definitivamente passare dalla parte giusta. Scrivono e lo fanno con disprezzo, senza rispettare niente e nessuno, perché l’unica cosa che conta sono gli interessi. Si nascondono sotto altra veste o nome per creare confusione e perché l’ordine è navigare sott’acqua. Sono abituati a farlo, perché in passato hanno già ospitato latitanti. In fondo se Antonio Bardellino fosse ancora vivo, ordinerebbe esattamente questo. Secondo quel fu Mattia Pascal di pirandelliana memoria.

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