La decisione di limitare la scorta a Benedetto Zoccola deve essere rivista. Il Tar della Campania ha dato torto al Ministero dell’Interno e ha accolto il ricordo dell’imprenditore di Mondragone.
Benedetto Zoccola deve essere scortato. È questo in estrema sintesi il parere espresso dal Tar dopo la decisione del Viminale di privarlo della tutela. Il caso era stato sollevato già a settembre da Toni Mira dell’Avvenire ed ora con l’accoglimento del ricorso di Zoccola, imprenditore di Mondragone che ha denunciato il racket, il Tar della Campania ha riportato la questione sul tavolo del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Caserta.
Per l’Interno la scorta a Zoccola va limitata ma il Tar è contrario
La scorta gli era stata limitata solo al territorio campano togliendogli anche i militari che sorvegliavano la sua abitazione giorno e notte dal 2012. Non lontano dall’abitazione di Zoccola “vive in regime di arresti domiciliari una pregiudicata per reati associativi che ha riportato una condanna penale all’esito di un giudizio fondato, tra l’altro, su dichiarazioni testimoniali dello stesso Zoccola”, ha scritto il Tar. Ed è proprio questo il punto di controversia. Secondo il l’Ufficio del Viminale addetto alle scorte, il pericolo non sussiste più perché il clan è stato disarticolato e perché gli autori delle minacce e delle estorsioni a Zoccola sono ristretti in carcere o comunque non sono nelle condizioni di ledere. Il Tar la pensa in maniera contraria. Secondo i magistrati non ci sono “provvedimenti cautelari e sentenze che comprovino l’effettiva disarticolazione del clan camorristico operante nel comune”.
Storia di denuncia tra primi avvertimenti e aggressione
Nel 2012 Benedetto Zoccola aveva deciso di dare avvio ad una considerevole lottizzazione di un terreno, ereditato dal nonno e condiviso con gli altri familiari, per la costruzione di villette a schiera. Venticinque lotti di 500 metri quadrati ciascuno per 15mila metri quadrati di terreno edificabile che richiedevano un grosso investimento e che aveva notato anche la camorra mondragonese. Per l’avvio dei lavori, la camorra del clan camorrista Fragnoli-La Torre, gli chiese 50mila euro di ‘pizzo’. Trovò le quattro ruote dell’auto bucate e all’inizio pensò ad una sorta di dispetto per una banale questione di parcheggio. Dopo pochi giorni trovò un biglietto intimidatorio nella cassetta della posta. Denunciò tutto ai carabinieri. Una sera le cose precipitarono. Messosi in macchina, fuori l’ufficio gli venne puntata un’arma sul fianco e chi lo teneva sotto tiro lo obbligò a raggiungere un altro luogo dove lo stavano aspettando altre due persone. Lo costrinsero a salire nel cofano dell’auto. Zoccola tentò di ribellarsi ma chi lo aveva condotto fino a quel punto, insieme agli altri, lo picchiò malamente. Quella sera stessa, alle tre di notte, denunciò tutto ai carabinieri della compagnia di Mondragone al comando del capitano Lorenzo Iacobone. A gennaio 2015 fu fatta esplodere una bomba sul davanzale della finestra del suo studio di consulente aziendale.
L’impegno che continua
Benedetto Zoccola, che ha deciso di continuare le sue battaglie non disperdendo la sua esperienza politica, visto che è stato vicesindaco a Mondragone. Si candiderà per il consiglio comunale di San Luca (Reggio Calabria), il Comune calabrese sciolto per mafia dove da sei anni non si riesce a raggiungere il quorum per eleggere un sindaco.Sosterrà Klaus Davi, il massmediologo che ha deciso di candidarsi a sindaco. L’imprenditore campano ha anche scritto un libro nel quale racconta la sua esperienza: “Il mio nome è Zoccola, per la camorra sono un figlio di puttana”, con la prefazione di Roberto Saviano e il racconto di Ismaele La Vardera, il giovane inviato de Le Iene che ha ‘finto’ di candidarsi a sindaco a Palermo con Lega e Fratelli d’Italia per realizzare un docufilm sulla sua esperienza elettorale. Anche Zoccola ha deciso di trasformare questa candidatura in un progetto cinematografico che darà vita al film-denuncia ‘La mano nera’ di Ambrogio Crespi e Klaus Davi con la partecipazione di Luca Telese. Con lui, nel film, il giornalista Michele Inserra, minacciato dalla ‘ndrangheta, e l’imprenditore Gaetano Saffioti, anche lui sotto scorta per le attività di denuncia della criminalità organizzata e pronto a sostenere la lista di Klaus Davi.