Fortemente voluto dalla Lega, il decreto sulla sanatoria punta a semplificare il cambio di destinazione d’uso e alla regolarizzazione di finestre e balconi
Sono tante le piccole porzioni di immobili che non compaiono nei titoli edilizi presenti nei Comuni, come nicchie, tramezzi, soppalchi, verande e finestre, ma esistono danni ed è logico dunque sanarle.
Passano i giorni, ma gli obiettivi della manovra allo studio degli uffici del ministero delle Infrastrutture non cambiano: il testo, intanto, viaggia verso il Consiglio dei ministri la prossima settimana, stando a quanto spiega il vicepremier Matteo Salvini che, intercettando le preoccupazioni che trapelano da Palazzo Chigi. ribadisce la natura del provvedimento: “Il decreto – dice negli studi di Agorà – non è un condono”.
La preoccupazione della premier Meloni è che a ridosso delle elezioni il provvedimento possa essere percepito come una sanatoria libera-tutti e su questo nei giorni scorsi ha chiesto rassicurazioni al vicepremier.
Un testo ancora non c’è, gli uffici lo starebbero limando in cerca di una quadra sugli aspetti più delicati. Ma l’intenzione è di portarlo, insieme ad altri provvedimenti, al Consiglio dei ministri del 22 maggio, slittato proprio per mettere a punto gli ultimi dettagli.
Sanatoria: cosa cambierà per soppalchi, verande nel decreto legge?
“La maggioranza delle case degli italiani ha piccoli problemi interni: il bagnetto, la finestra, la veranda, il soppalco. Milioni di case di italiani sono bloccate dalla burocrazia, il nostro obiettivo è sanare queste piccole irregolarità interne. Se uno si è fatto la villa con piscina o con due piani in più la risposta è l’abbattimento, ma se uno ha otto metri quadri di cameretta fatta dal nonno 30 anni fa è giusto che possa andare in comune: paghi e torni proprietario serenamente dell’immobile“, spiega Salvini.
Scendendo nel merito, il salva-case si muove su tre livelli crescenti di irregolarità: il primo caso riguarda i problemi di natura formale. Sono di solito errori di rappresentazione nel progetto che sono stati corretti al momento dell’esecuzione in cantiere e che quindi creano un disallineamento tra il progetto autorizzato e la realtà degli immobili.
Per i lavori realizzati prima del 1977 non esisteva la possibilità di effettuare varianti in corso d’opera, quindi queste modifiche non venivano mai corrette. Due esempi: una finestra che era sul progetto e poi non è stata realizzata o un cornicione che era di 30 centimetri ma che nella realtà è di mezzo metro.
Il secondo caso riguarda le difformità interne non semplicemente formali. I casi pratici possono essere diversi: prima del 1977 quando si faceva il progetto di un edificio non si presentavano le planimetrie di tutto, ma bastava un “piano tipo”.
In fase di realizzazione degli immobili, poi, alcuni elementi venivano modificati. Queste modifiche oggi sono altrettante difformità. A questo si aggiunge il caso, anche questo frequente, delle modifiche interne intervenute nei decenni (e magari non sempre dichiarate), con l’effetto di stratificare elementi su elementi che oggi è difficile giustificare. Anche questi interventi diventeranno sanabili.
Infine c’è il terzo livello, quello delle difformità che potevano essere sanate al momento della realizzazione dell’intervento, ma che adesso non sono più regolarizzabili per effetto del meccanismo della doppia conformità.
Oltre al taglio della doppia conformità, l’altro elemento chiave è rappresentato dalle tolleranze costruttive, cioè quel margine di errore rispetto a quanto dichiarato che le norme rendono legittimo. Oggi è pari al 2%, ma potrebbe essere incrementato, anche se in modo differenziato a seconda degli immobili.
Non è un mistero che la mossa di Salvini abbia spiazzato gli alleati di governo, preoccupati di una fuga in avanti del leader del Carroccio in piena campagna elettorale. A partire dalla premier Meloni che ha salutato l’iniziativa del suo vice con un laconico quanto gelido “non ho visto il testo”.
Stessa reazione da parte di Forza Italia che per bocca del suo segretario Antonio Tajani, anche lui vicepremier, ha rilanciato il ddl Gasparri depositato in Senato nel luglio scorso e che da allora lì giace. Accese invece le reazioni delle opposizioni che hanno bocciato la mossa come “boutade elettorale” (Azione) e “condono di cui non si sente il bisogno” (Pd).