Sono trascorsi 25 anni dall’omicidio di don Giuseppe Diana, il sacerdote di Casal di Principe ucciso dalla camorra a Casal di Principe e nel suo ricordo sono tante le iniziative già in atto. A San Cipriano, presso il comprensivo de Mare di via Starza ne hanno parlato con gli studenti fra gli altri il giudice Raffaello Magi, Michele Martino referente provinciale di Libera Benevento e capo scout ed il testimone di giustizia Augusto Di Meo.
“Ho cominciato a fare il giudice in questo territorio nello stesso periodo in cui fu ucciso don Peppe Diana, fu un episodio altamente drammatico che ruppe schemi e punti di riferimento. La comunità divenne confusa ed è stato solo grazie all’impegno di chi ci ha creduto e ha lavorato fin dal primo momento senza mai stancarsi, che le cose sono cambiate. A partire dai cittadini, dalle forze dell’ordine e dalla magistratura”. E’ l’analisi fatta dal giudice Raffaello Magi, ora in Corte di Cassazione ma per lungo tempo presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dove ha avuto funzioni di giudice per le indagini preliminari, giudice a latere in Corte di Assise e presidente di Collegio per le misure di prevenzione personali e patrimoniali, oltre che estensore della sentenza Spartacus, il maxi processo alla camorra del clan dei Casalesi.
“Fu una tragica e scellerata sfida alla quale dobbiamo continuare a rispondere per evitare l’imbarbarimento della società e che un gruppo camorristico possa riorganizzarsi. L’omicidio di don Diana ha risvegliato le coscienze ma il prezzo per quel moto di ribellione è stato troppo alto”, ha detto Magi rispondendo alle domande di giovani studenti.
Di don Giuseppe Diana, il prete di Casal di Principe, ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994 se ne è parlato ieri, venerdì 22 febbraio, a San Cipriano D’Aversa presso l’istituto comprensivo De Mare di via Starza. Ad ascoltare c’erano i ragazzi di scuola elementare e di scuola media. “Non è facile parlarvi ma la scuola ha il dovere civile e morale di ricordare le esperienze che ci hanno profondamente segnato. La scuola ha l’obbligo di combattere la camorra e noi docenti abbiamo il compito di insegnare ai nostri ragazzi cosa è giusto e cosa è sbagliato, tenendo presente cosa è accaduto nel passato e cosa si determina nel presente”, ha detto la preside Antonella Cerrito. Parole che sono risuonate come un invito alla responsabilità e certamente non scontate, visto che in alcuni istituti la stessa consapevolezza non ce l’hanno tutti. Manca soprattutto ad alcuni professori e dirigenti che dalla camorra non ne hanno mai preso le distanze in maniera netta, per paura, per inezia o perché parenti di esponenti del gruppo camorristico dei Casalesi.
“Viviamo un particolare momento storico che ci impone di accelerare e fare sempre di più per vedere i nostri paese completamente liberi”, ha sottolineato il sindaco di san Cipriano D’Aversa, Vincenzo Caterino.
“Non è facile ricordare ma se la storia di mio fratello continua ad indicare la buona strada ai giovani che lui tanto amava allora vuol dire che niente è perso ma solo rigenerato in altra forma ed io stessa sento la responsabilità di incontrare, raccontare, parlare e denunciare così come avrebbe fatto Peppe”, ha spiegato Marisa Diana, la sorella del sacerdote.
“Quando penso a don Diana– ha raccontato Michele Martino, capo scout e referente provinciale di Libera Benevento – ricordo il momento in cui don Peppe chiese ad un ragazzo che si apprestava a fare la promessa scout “cosa è per te un uomo d’onore?”. Il ragazzo rispose “un uomo veritiero ed onesto perché meritevole di fiducia”. Ecco, è questo che dobbiamo tener presente quando parliamo d’onore e l’onore ai camorristi non appartiene”.
“La memoria e l’impegno civile sono come fiori che vanno coltivati per farli crescere ed è per questo che da quel 19 marzo del ’94 non mi sono mai fermato. E’ una testimonianza che continua da un quarto di secolo ed il cui peso lo avverto ogni giorno ma così anche il dovere di proseguire”, è stato il commento di Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio del sacerdote casalese, che scelse la via della denuncia piuttosto che quella di girarsi dall’altra parte. Un testimone per la giustizia che però ancora aspetta di essere riconosciuto tale dallo Stato.
Don Giuseppe Diana era un amico per molti, era il figlio di Iolanda e Gennaro, il fratello di Marisa ed Emilio ma era prima di tutto un sacerdote. Lo ha ricordato il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. E’ alla sua opera sacerdotale che la Chiesa aversana sta guardando per il 25esimo anniversario dell’uccisione del prete casalese condividendo un’azione corale che il prossimo 19 marzo si manifesterà a Casal di Principe, quando per le strade del paese sfileranno migliaia di persone, sindaci con gonfaloni, rappresentanti delle istituzioni, preti, fedeli, atei e laici, cittadini e volontari, ragazzi e adulti. Gli uni accanto agli altri, ognuno con la propria sigla, bandiera, convinzione, vissuto e ricordi ma tutti uniti da un unico scopo: non permettere più che avvenga di nuovo. Non consentire più a nessuno di impadronirsi della vita altrui. E’ il sangue innocente delle vittime uccise dalla camorra che lo chiede.
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