Molta mafia e poche notizie, lo spaccato dell’informazione italiana

di Tina Cioffo– Molta mafia poche notizie, è il rapporto dell’Osservatorio per l’informazione che fa uno spaccato dell’informazione italiana con un focus sui cronisti locali.

Tra i giornalisti, i cronisti locali, sono quelli più esposti. Lo stabilisce l’Osservatorio per l’informazione guidato da Alberto Spampinato. Il rapporto ‘Molta mafia poche notizie’ sarà presentato domani, 10 maggio, alla Camera dei Deputati e traccia uno spaccato dell’Informazione italiana, soggetta ad intimidazioni e minacce che non arrivano solo da ambienti criminali ma anche da politici ed imprenditori che si servono di giornalisti asserviti capaci di gettar fango su chiunque possa disturbare gli affari di chi li paga. “I giornalisti locali – è scritto nel rapporto realizzato grazie al contributo di magistrati, avvocati, parlamentari, testimoni ed esperti- sono soldati male armati, schierati di fronte ad avversari molto agguerriti”. Michele Albanese giornalista calabrese, vive sotto scorta dal 2014, conferma: “I giornalisti che, come me, lavorano per testate regionali o locali sono fra quelli che rischiano di più”. Per Lirio Abbate, vicedirettore de L’Espresso: “Chi abita e lavora in periferia, in provincia, deve avere più coraggio se vuole raccontare fatti di mafia e corruzione, se vuole fare giornalismo rispettando in pieno i doveri deontologici”. Gli attacchi non vengono solo dalle mafie ma anche da tutta quella zona grigia che naviga sottofondo, difficile da definire e denunciare ma capace di dettare le regole sia in campo criminale che nel mondo dell’informazione ed economico. Sono imprenditori che pagano i piccoli giornali con pubblicità e che perciò poi pretendono servizi giornalistici che sarebbe meglio chiamare ‘servigi’.

Giornalisti che dicono il falso pagati da politici e imprenditori

Nel rapporto dell’Osservatorio, anche una riflessione sulla macchina del fango. “Secondo una terminologia ormai di uso comune è la campagna di delegittimazione condotta da uno o più giornali contro qualcuno, per screditarlo deridendolo, mettendolo in cattiva luce e attribuendogli colpe che non ha o comportamenti poco onorevoli, con la consapevolezza di dire il falso”. “È in sostanza un grave abuso dei media e del giornalismo, utilizzati come armi improprie”. In questa anarchia di regole, un ruolo fondamentale lo gioca il mondo dei social. Dietro ad una tastiera e ad un monitor, le minacce non si contano ed è i social sono diventati la valvola di sfogo per chiunque crede di poter aver voce in capitolo su ogni cosa, delegittimando chi ogni giorno lavora per ricostruire dati e connettere fatti. E’ cronaca infatti, che la macchina del fango è utilizzata molte volte contro i giornalisti che denunciano fatti di mafia e corruzione. La Commissione Parlamentare Antimafia, ha proposto di punire questo tipo di abuso con un reato specifico. “C’è bisogno di informazione approfondita sulle mafie, c’è bisogno di proteggere i giornalisti che vengono minacciati per le loro inchieste. Le mafie non possono essere un tema saltuario nell’informazione, deve esserci un vero e proprio presidio informativo costante e approfondito”, ha detto Nicola Morra presidente della Commissione Antimafia.

Il sistema Montante contro i giornalisti

La più clamorosa e recente campagna di delegittimazione contro i giornalisti e accertata a livello investigativo – scrive L’Osservatorio- fu orchestrata fra il 2015 e il 2018, in Sicilia, dall’ex presidente di Confindustria Sicilia, l’imprenditore Antonello Montante, quando era considerato il campione della lotta alla mafia, contro i cronisti che per primi rivelarono le sue connivenze con ambienti criminali, vicende per le quali è sotto processo. Attilio Bolzoni è uno dei giornalisti vittima del sistema Montante. “Un cronista precario – dice Bolzoni – può venire a conoscenza di un fatto importante, di una situazione grave, ma per scriverci un articolo deve assumere il rischio di difendersi a proprie spese da un’eventuale querela, se il giornale per cui scrive non si assumerà questo onere. Il precario ha una paga bassa e non ha garanzie. È in una posizione molto debole”. Sulla vergogna del sistema Montante, è stato sempre Morra ad intervenire, sottolineando la grave scelta del Ministero dell’Interno di non costituirsi parte civile e annunciando la decisione di acquisire la documentazione “per comprendere insieme al lavoro dei magistrati le trame e gli intrecci criminali da parte di pezzi dello Stato”.

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