“Michele Barone mi incontrò per strada a Casapesenna e mi disse che Michele Zagaria voleva parlarmi”: a parlare è Nicola Diana, l’imprenditore arrestato con il fratello Antonio e lo zio Armando, che il 26 febbraio 2016 si presenta spontaneamente in Procura per raccontare la storia del suo gruppo imprenditoriale e l’incontro con esponenti del clan dei Casalesi.
L’incontro con il latitante Michele Zagaria
“Fui portato al cospetto di Zagaria che era in compagnia di Capoluongo Giacomo che fece allontanare però prima di parlare con me- ricostruisce Diana – Zagaria mi chiese 30 milioni di lire come estorsione dicendomi che io “dovevo pagarlo”, per paura, la stessa per cui avevo deciso di incontrare lo Zagaria, decisi di pagare. Non dissi niente a mio fratello Antonio che misi al corrente della vicenda solo dopo due mesi. Cominciai a pagare e i pagamenti avvenivano due volte all’anno fino al 2003/2004: dopo questi anni ho pagato una sola volta all’anno consegnando la somma di 30 mila euro da quando l’euro ha preso il posto della lira. I pagamenti avvenivano sempre su loro richiesta, generalmente mi incontravano per strada e materialmente consegnavo i soldi o a Zagaria Carmine o al loro cugino Fontana Carmine”.
L’edificazione degli Zagaria sul terreno dei Diana
Nicola Diana racconta di essere stato sempre lui ad occuparsi dei pagamenti, cominciati dal ‘98 o ‘99 (prima di allora riferisce che nessuno aveva mai chiesto niente), fino al 2009. I pagamenti non erano stati mai denunciati fino a quando è arrivata l’ingiunzione di demolizione di una struttura abusiva realizzata dalla famiglia Zagaria sul terreno di proprietà della loro famiglia. “Nel gennaio 2015 ho presentato una denuncia – racconta Diana– in cui non solo ho rappresentato la vicenda dell’edificazione abusiva, ma ho finalmente trovato il coraggio di denunciare le estorsioni subite”.
Il passaggio del cavo elettrico per il bunker di Zagaria
Altra questione su cui si sofferma Diana è quella del passaggio di un cavo dell’energia elettrica nella casa della sorella, che abita a pochi metri dal bunker in cui fu catturato Michele Zagaria. Quel filo, secondo l’imprenditore, sarebbe stato collocato all’esterno dell’abitazione ad insaputa della familiare.
Sconforto e incredulità
L’ammissione dei pagamenti al clan Zagaria da parte dell’imprenditore che dice di aver ceduto alle richieste per paura di ritorsioni, al di là della giustizia che farà il proprio corso e che potrebbe concludersi con la totale estraneità ai fatti contestati, resta un dato di fatto. Apprendere che anche gli imprenditori Diana, ritenuti esempio di coraggio dalla società civile, alimentassero le casse del clan, ha suscitato sensazioni di profondo sconforto in tutti coloro che, in questi anni, non hanno esitato a metterci la faccia per un territorio più sano e libero dal potere criminale.
Anche se sicuramente emergeranno altri elementi nella ricostruzione dei fatti e i fratelli Diana avranno modo di spiegare perché abbia prevalso la paura sulla decisione di sottrarsi alle richieste criminali, fra quanti hanno avuto modo di venire a contatto con la loro storia in questi anni, si registra una naturale incredulità mista ad amarezza.
Se anche i figli di un uomo ucciso dalla camorra non sono riusciti a trovare le giuste condizioni per denunciare, è sicuramente avvilente perché si tratta di una sconfitta che riguarda tutti.