A Castel Volturno al Polo Sociale per migranti per l’emersione del caporalato e di ogni tipo di sfruttamento, anche le storie di donne vittime di tratta e che lottano per ricostruire la propria esistenza.
di Tina Cioffo
Sono sopravvissute che ce l’hanno fatta e ora riescono a sorridere. Sono le donne migranti che ha incontrato Carla Illiano psicologa, operatrice dello Sportello Rosa del Polo sociale migranti del Consorzio Nuova Cooperazione Organizzata a Castel Volturno nell’ambito del progetto AgriCultura-Coltivare Diritti. Storie di vita che sono difficili da raccontare anche per le dirette interessate. “Le donne europee non potrebbero mai sopportare quello che subiamo noi”, dice qualcuna di loro esprimendo orgoglio per il riscatto personale e una carezza di condivisione regalata a tante connazionali arrivate a Castel Volturno, angolo di mondo della provincia di Caserta in Campania. La storia di Jasmin, il nome è di fantasia, è una storia di tratta. “In Nigeria facevo la parrucchiera con figli, il primo l’ho avuto a 15 anni. Un giorno, una persona mi propose di venire in Italia perché avrei potuto guadagnare di più e assicurare un futuro ai miei figli. Partì senza sapere il destino che mi attendeva ma fidandomi di quella promessa di cambiamento per me ed i miei figli”, racconta la donna. Arrivata in Italia, così come accade la maggior parte delle volte è stata gettata nel meccanismo infernale della prostituzione. Donne ai margini. Per i moralisti non esistono. Per i buonisti, è una realtà che in fondo è storia vecchia, esistita sempre e ovunque. La verità è che quelle donne, la maggior delle volte delle ragazzine strappate alla loro età sono il fallimento di tutta la società. Le ragazze arrivano a Villa Literno e a Napoli, soprattutto via mare ma i viaggi sono anche in aereo con documenti falsi. Partono con la certezza di un lavoro, almeno è questo che viene detto a loro e alle loro famiglie, costrette ad indebitarsi per lasciarle andare. Alcune non immaginano minimamente quello che dovranno subire. Quando arrivano vengono sistemate dai loro sfruttatori che si fingono loro fidanzati. Vengono violentate. Una prassi spaventosa che serve a calarle in un buio profondo e a gettarle nella vergogna mista a sensi di colpa che da quel momento in poi diventeranno sempre più grandi. Jasmin, da 20 anni non torna nel suo paese natale e non sa neppure se e quando ci tornerà. I figli li ha visti crescere in videochiamata e solo telefonicamente ha appreso che la figlia è diventata un’infermiera. “L’obiettivo del Polo– spiega la psicologa- è offrire un servizio di informazione, sensibilizzazione ed aiuto sui temi del contrasto allo sfruttamento lavorativo e delle persone, con l’obiettivo di aiutare le donne a trovare la forza ed il coraggio per denunciare a difendersi”. “Risvegliare i loro ricordi – continua Illiano che insieme alla mediatrice è impegnata in una faticosa gestazione di serenità – è sempre un atto doloroso anche perché temono il giudizio di tutti. Per quanto sono state costrette a fare per la sopravvivenza, se ne vergognano”. Al Polo sociale, Jasmin è arrivata con la richiesta di rinnovo di permesso di soggiorno e per ricostruire il mosaico della sua esistenza. Il percorso è stato avviato perché Jasmin ha ricominciato a lavorare come parrucchiera e forse un giorno non lontano potrà cancellare le immagini violente e nei suoi ricordi conservare solo quelle belle. Lo merita lei e lo meritano i suoi figli, quelli grandi e quelli piccoli.