In cima alla classifica dei Paesi che investono di più nell’istruzione rispetto al loro Prodotto Interno Lordo troviamo la Norvegia, e l’Italia? Scopriamolo
Gli insegnanti italiani sono da anni al centro di una discussione che mette in luce il disagio crescente della categoria, alimentato principalmente da stipendi considerati insufficienti e da una precarietà lavorativa che fatica a trovare soluzione. Questi malumori trovano una conferma concreta nel recente rapporto dell’Ocse, “Education at a Glance 2024”. L’indagine offre un confronto globale sulle retribuzioni e le condizioni degli insegnanti nei vari Paesi, e mostra come gli stipendi italiani siano significativamente inferiori rispetto a quelli percepiti da colleghi in paesi “simili” in termini economici e sociali.
Nel rapporto, che prende come riferimento l’anno 2023, si evidenzia che gli stipendi medi degli insegnanti italiani nella scuola secondaria inferiore (corrispondente alle scuole medie) si collocano appena al di sotto della media Ocse e Ue. Questo posizionamento non fa che rafforzare le preoccupazioni degli insegnanti italiani, che da tempo chiedono maggiori investimenti da parte dello Stato per allinearsi agli standard internazionali. La retribuzione di un insegnante in Italia, infatti, non riflette l’importanza sociale ed educativa del loro ruolo. Va notato che, pur essendo previsto un aumento degli stipendi grazie al rinnovo del contratto nazionale, tale incremento non sembra essere sufficiente a colmare il divario con altri Paesi europei. L’aumento previsto, pari a circa 160 euro lordi mensili, appare infatti una soluzione temporanea e insufficiente per risolvere il problema alla radice. La questione, infatti, non riguarda solo il quantum dell’aumento, ma un approccio più strutturale alla valorizzazione della professione.
Uno dei motivi principali di questa disparità salariale è legato al basso investimento pubblico nel settore dell’istruzione. In Italia, la spesa per l’istruzione rappresenta il 4% del Pil, un dato inferiore rispetto alla media Ocse, che si attesta al 4,9%. Questo significa che, nonostante l’Italia sia una delle principali economie europee, investe meno in istruzione rispetto a quanto potrebbe permettersi. Altri Paesi, anche con economie meno solide, dedicano una quota maggiore del proprio prodotto interno lordo all’istruzione, garantendo così condizioni migliori per gli insegnanti e, di conseguenza, per gli studenti.
In cima alla classifica dei Paesi che investono di più nell’istruzione rispetto al loro Prodotto Interno Lordo troviamo la Norvegia, che destina ben il 6,5% delle proprie risorse a questo settore. Segue il Regno Unito, con un investimento pari al 6,2%, e subito dopo Islanda e Israele, che si attestano entrambe al 6%. Il Cile, con il 5,8%, si colloca al quinto posto, seguito a pari merito da Australia e Stati Uniti, che investono la stessa percentuale. Il Belgio si distingue con un impegno del 5,6%, mentre Danimarca e Svezia seguono rispettivamente con il 5,5% e il 5,4%. Francia, Finlandia e Olanda si mantengono intorno al 5,3%, accompagnate dalla Nuova Zelanda. Canada destina il 5,2%, mentre la Corea del Sud investe il 5,1%.
La media dei Paesi Ocse è del 4,9%, cifra condivisa anche da Portogallo e Austria. Più in basso nella classifica troviamo la Spagna con il 4,8%, leggermente sopra la media dell’Unione Europea, anch’essa al 4,8%. Paesi come la Polonia e la Slovenia investono il 4,5%, seguiti dalla Germania e dalla Repubblica Ceca. L’Estonia si assesta sul 4,4%, mentre la Slovacchia sul 4,3%. Più in basso troviamo la Turchia e il Messico, entrambe al 4,1%, seguite da Ungheria e Lettonia, che destinano il 4% del Pil all’istruzione, proprio come l’Italia.
Il rapporto Ocse non si limita solo a mettere in luce i problemi salariali, ma tocca anche altre questioni critiche legate al sistema educativo italiano. Uno dei dati più allarmanti è quello relativo all’abbandono scolastico: in Italia, il 20% dei giovani tra i 25 e i 34 anni non ha completato le scuole superiori, una percentuale ben superiore alla media Ocse del 14%. Questo fenomeno, oltre a riflettere le carenze del sistema educativo, ha conseguenze dirette sul mercato del lavoro, contribuendo a un tasso di disoccupazione giovanile che resta tra i più alti d’Europa.
L’abbandono scolastico e la bassa qualità dell’istruzione sono problemi che si autoalimentano, creando un circolo vizioso. I giovani che lasciano la scuola senza un diploma trovano più difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, e questo non fa che aggravare le disuguaglianze sociali ed economiche del Paese. D’altro canto, un sistema scolastico che non riesce a trattenere gli studenti fino al completamento del ciclo di studi si riflette in una forza lavoro meno qualificata, che fatica a competere in un mercato globale sempre più esigente.
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