Conclusosi da poco l’incontro con il divulgatore scientifico Alberto Angela tenutosi in video-conferenza, una nuova versione dei fatti (a detta di chi scrive, però, ancora incompleta) circa l’incendio di Roma del 64 d.C. è emersa e si è fatta strada in mezzo alle domande che noi studenti del Liceo Garofano di Capua abbiamo posto in merito al sopraccitato autore de La Trilogia di Nerone costituita da ben tre libri narranti, anche se in maniera romanzata, lo sviluppo dell’incendio e le misure adottate per soffocarlo. Lo spannung della narrazione, tuttavia, cade proprio nel punto in cui si affronta la questione se sia stato Nerone o meno il promotore dell’incendio di Roma, questione che Alberto Angela affronta portando sul banco degli imputati una serie di prove a favore della tesi che non sia stato l’Imperatore il colpevole, bensì una “serie di sfortunati eventi” degenerati poi nel grande incendio del 64. Anche se ancora non del tutto scoperta, in quanto molte vicende devono ancora essere accertate, la verità sembra venire a galla, sbugiardando l’infamante accusa che mossero le prime comunità di cristiani a danno della figura dell’Imperatore: quest’ultimo non avrebbe voluto inimicarsi il popolo mediante tale cataclisma, ed inoltre non avrebbe nemmeno avuto il pretesto di ristrutturare Roma o di costruirsi nuove ville, dal momento che l’Imperatore disponeva dell’Urbe come voleva e non aveva bisogno di simili espedienti, oltre che non avrebbe mai potuto prevedere la direzione del fuoco. Anzi, a ben vedere, è proprio il contrario, ed è lo stesso Tacito che c’informa di “altri che apertamente lanciavano fiaccole e gridavano d’aver ricevuto ordine di farlo“ e di “misteriose figure che nei giorni e nelle notti dell’incendio si aggiravano tra le fiamme, alimentandole con torce e minacciando i soccorritori”; nel frattempo, a Roma, già si erano diffuse le prime sette dei cristiani, tra le quali i cosiddetti Fanatici dell’Apocalisse, che vedevano nella capitale “la nuova Babilonia”, perversa e scellerata da essere purificata “in un lavacro di fuoco”. Non aggiungiamo altro, potete farvi i conti da soli. Se non sapete, o non volete contare, vi basta sapere che lo storico Tacito, nel libro XV degli Annales, ci parla di uomini che, stenuati dall’interrogatorio delle coorti vigili, confessarono le loro colpe e pertanto furono giustiziati secondo legge, ossia furono crocifissi in quanto non cittadini di Roma. A voi poi la libertà di giudicare secondo ragione, dopotutto, chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Articolo di Christian Heinz D’Angelo del Liceo Garofano di Capua
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