Quest’anno, circa 1.500 persone hanno partecipato alla North Canterbury Hunting Competition, inclusi 440 ragazzi, e sono stati uccisi circa 340 gatti ritenuti una minaccia per la fauna autoctona
Lo scorso fine settimana, la regione rurale di North Canterbury, situata sull’Isola del Sud della Nuova Zelanda, è stata teatro di una competizione che ha sollevato molte polemiche. La North Canterbury Hunting Competition, aperta a partecipanti adulti e ragazzi sopra i 14 anni, ha come obiettivo la caccia agli animali selvatici che minacciano la fauna autoctona, con premi in denaro per i vincitori. Quest’anno, la categoria più controversa è stata quella della caccia ai gatti randagi.
L’origine del problema
La Nuova Zelanda affronta da tempo un problema serio con i gatti, sia domestici che randagi. Questi felini sono predatori invasivi che mettono in pericolo le specie native di uccelli, rettili e insetti, alcune delle quali sono già a rischio di estinzione. Mentre a livello globale si consiglia di tenere i gatti in casa, in paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda la situazione è particolarmente critica. Studi dimostrano che in Australia i gatti sono stati una delle cause principali dell’estinzione di almeno 22 specie di mammiferi.
Matt Bailey, l’organizzatore della competizione, ha giustificato l’inclusione dei gatti randagi tra gli obiettivi di caccia citando il loro impatto negativo sulle popolazioni animali e il rischio di diffusione di malattie che potrebbero danneggiare il bestiame. Nel 2016, il governo neozelandese ha lanciato un programma di eradicazione dei piccoli predatori, con l’obiettivo di eliminare opossum, ratti, ermellini e furetti selvatici entro il 2050.
La North Canterbury Hunting Competition rappresenta un esempio delle sfide legate alla conservazione della biodiversità in un contesto di specie invasive. Sebbene le motivazioni degli organizzatori siano radicate nella necessità di proteggere le specie autoctone, le critiche riguardo ai metodi impiegati sollevano importanti questioni etiche. La strada verso un equilibrio sostenibile tra la tutela della biodiversità e il rispetto per tutte le forme di vita rimane ancora lunga e complessa.
Il dilemma etico
Da un punto di vista culturale, l’uccisione di un gatto randagio è vista con maggior riprovazione rispetto a quella di un ratto, ma questa visione è messa in discussione da molti gruppi ambientalisti. Alcuni sostengono che anche i gatti randagi dovrebbero essere eradicati per proteggere la biodiversità locale. Tuttavia, con uno dei tassi di gatti domestici più alti al mondo, la Nuova Zelanda si trova a dover bilanciare sensibilità diverse riguardo ai diritti degli animali e la necessità di conservazione ambientale.
Reazioni e controversie
Numerosi gruppi ambientalisti si sono opposti alla competizione, denunciando la crudeltà verso gli animali, il pericolo per i gatti domestici e l’effetto desensibilizzante sui giovani partecipanti. Nella gara, i gatti vengono catturati per verificarne lo stato di randagismo e poi uccisi con un fucile. La caccia è limitata alle aree fuori dai centri abitati e le trappole devono essere posizionate ad almeno 10 km dalle abitazioni più vicine.
Quest’anno, circa 1.500 persone hanno partecipato, inclusi 440 ragazzi, e sono stati uccisi circa 340 gatti. Il vincitore, che ha ucciso 65 gatti, ha ricevuto un premio di 500 dollari neozelandesi. Inoltre, i partecipanti hanno raccolto 60.000 dollari neozelandesi da donare a una scuola locale.
Le parole degli organizzatori
Bailey ha dichiarato di non essere particolarmente preoccupato delle critiche, affermando che i bambini nelle regioni rurali sono già abituati alla caccia e alla lavorazione degli animali. Tuttavia, pur essendo in disaccordo con i metodi della competizione, molti ambientalisti riconoscono la necessità di gestire la popolazione di gatti selvatici. Tra le proposte più discusse vi è l’obbligo per i proprietari di sterilizzare i propri gatti per ridurre le nascite indesiderate.
L’impatto storico e ambientale
Fino al Duecento, le uniche specie di mammiferi terrestri in Nuova Zelanda erano alcune varietà di pipistrelli. L’arcipelago si separò dalle altre terre emerse prima della diffusione dei mammiferi, permettendo l’evoluzione di numerose specie di uccelli senza difese contro predatori terrestri. L’arrivo dei Maori e, successivamente, dei coloni europei, introdusse specie invasive come ratti, opossum, conigli, ermellini e gatti, mettendo a rischio la fauna locale.
Uno studio del 2010 ha rivelato che ogni anno i mammiferi invasivi distruggono oltre 26 milioni di uova e piccoli di uccelli. Da quando l’uomo è arrivato, quasi un terzo delle specie animali native della Nuova Zelanda si è estinto, e attualmente circa 4.000 specie di uccelli sono a rischio.