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Società

In Italia cala il numero dei neet, ma il divario con il resto dell’Europa resta ancora ampio

Migliorano le condizioni lavorative dei giovani, ma rispetto al resto del continente siamo ancora molto indietro

Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un significativo calo del numero di NEET (Not in Education, Employment, or Training), ossia giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione. Secondo i dati ISTAT del 2023, la quota di NEET si attesta al 16,1%, con una diminuzione di 2,9 punti percentuali rispetto al 2022 e di ben 7 punti rispetto al 2021. Questo è un dato incoraggiante che si distanzia notevolmente dai picchi del 2014, quando il tasso di NEET era del 26,2%.

Nonostante questo trend positivo, l’Italia continua a registrare percentuali di NEET superiori alla media europea, che si attesta all’11,2%. In particolare, l’Italia supera paesi come Germania (8,8%), Francia e Spagna (entrambe al 12,3%), e si colloca appena al di sotto della Romania, l’unica nazione europea con una percentuale di NEET superiore (19,3%). Questo divario è particolarmente evidente tra i giovani diplomati italiani, che mostrano un gap di 6,5 punti percentuali rispetto alla media europea. Per i laureati, la differenza si riduce a 4,7 punti, mentre per chi possiede solo la licenza media il gap è di 2 punti.

Le diverse fasce d’età

Il calo dei NEET registrato nel 2023 può essere attribuito a una maggiore partecipazione al sistema educativo e a un aumento dell’occupazione, specialmente tra i giovani con bassi livelli di istruzione. Analizzando i dati per fasce d’età, si osserva che l’incidenza dei NEET è molto contenuta tra i 15 e i 19 anni (6,3%), grazie all’alta percentuale di studenti (89,7%). Tuttavia, la quota sale al 19% tra i 20 e i 24 anni e raggiunge il 22,7% tra i 25 e i 29 anni, fascia d’età in cui diminuisce la partecipazione al sistema educativo e aumenta quella al mercato del lavoro.

Il rapporto ISTAT evidenzia anche un forte divario di genere e cittadinanza. Tra le donne straniere, la quota di NEET è del 35,8%, quasi 20 punti percentuali più alta rispetto alle italiane (16%). Tra gli uomini, la differenza si riduce a 1,4 punti percentuali (15,7% tra gli stranieri e 14,3% tra gli italiani).

Gruppo di ragazzi – Pexels @Afta Putta Gunawan – Ireporters.it

Da dove nasce il termine NEET

Il termine “NEET” è stato utilizzato per la prima volta in un rapporto del Ministero dell’Interno del Regno Unito nel 1986 per identificare i giovani di età compresa tra 16 e 18 anni che si erano “persi” nel passaggio dalla scuola al lavoro. Oggi, l’acronimo NEET descrive la scarsa partecipazione dei giovani al mercato del lavoro, riferendosi a coloro che non studiano, non lavorano e non sono in un percorso di formazione.

Le categorie più “colpite”

Sotto questa categoria si celano situazioni molto diverse. Tra i NEET si trovano giovani soggetti a dispersione scolastica, spesso maschi di età compresa tra i 15 e i 19 anni, che vivono ancora con la famiglia e che hanno concluso o abbandonato precocemente gli studi. Ci sono poi le giovani madri, ragazze tra i 25 e i 29 anni che non lavorano né cercano lavoro, dedicandosi principalmente alle attività familiari. Un’altra categoria è costituita da giovani ventenni, soprattutto donne single, che svolgono lavori temporanei e non trovano occupazioni stabili.

Gli scoraggiati sono un’altra categoria significativa: la generazione “Covid”, giovani tra i 22 e i 27 anni che hanno vissuto gli ultimi anni di formazione in lockdown, trovando difficoltà nella transizione tra scuola e lavoro. Infine, i troppo qualificati, giovani tra i 20 e i 29 anni con un elevato livello di istruzione che, nonostante siano disponibili a lavorare, non trovano corrispondenza tra le loro competenze e le richieste del mercato del lavoro.

Andrea Zoccolan

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