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Categories: Cultura

Il Palazzo di Villa di Briano, un gioiello dimenticato

di Tina Cioffo

Altrove sarebbe stato il centro dell’economia del paese, il punto di attrazione massimo e la leva per un indotto lavorativo degno di nota. Altrove ma non a Villa di Briano, dove il palazzo marchesale in via Mazzini che fu dei Pallavicini testimonia uno spettrale passaggio di tempi che lo hanno vandalizzato fino a dimenticarne la storia.

Il PASSATO

Alcuni studi testimoniano il passaggio della Sacra Sindone all’epoca di Corradino di Svevia (1252-1268). Nei tunnel del palazzo che lo collegavano con un monastero dei cavalieri teutoni avrebbero custodito la Sacra Sindone, le bende di Cristo. Altri metterebbero il palazzo brianese al centro di dinastie longobarde da cui discende la dinastia longobarda-bizantina dei Principi Puoti, pronipoti di re Desiderio, ultimo re dei Longobardi, padre di re Adelchi e nonno di re king Poto. Di più recente memoria invece il tentativo di rapimento degli ultimi Hohenstaufen colpevoli di aver cancellato l’elenco degli ebrei da deportare in Germania. La Principessa Yasmin von Hohenstaufen che nel 2012 ha rivendicato la proprietà del Real Sito di Carditello, ha raccontato di essere nata proprio in questo palazzo brianese e di esservi rimasta solo per quattro anni. La famiglia Pallavicini, originaria di Genova, governò il feudo col titolo di marchesato.

IL PRESENTE

La proprietà è ora degli eredi della famiglia Gallo, fatta salva una piccola parte del pian terreno, circa 150 metri quadrati acquistati nel 2008, per poco più di ventimila euro. Ora in quella che era una piccola scuderia del marchese sono stipati, ma sarebbe meglio dire ammassati, vecchi documenti contabili e urbanistici del comune di Villa di Briano, alcuni risalgono agli anni 80. Eppure, quel palazzo custodisce mille segreti, un belvedere da far invidia a qualsiasi monumento cittadino, sopra il quale l’occhio si perde a 360gradi da Napoli ai monti Aurunci. E’ lì che il marchese scelse di mettere una vasca dove rinfrescarsi all’aperto al riparo dal popolo e da fastidi. Sotto gli strati di intonaco messi senza logica, si scorgono affreschi e scritte. La struttura è ancora in piedi nonostante i molteplici tentativi di sventrarla e parte dei soffitti distrutti dalle piccionaie. E’ stata sede della scuola elementare del paese e molti brianesi ancora se ne ricordano il suono della campanella, sede di una radio e rifugio durante la guerra oltre che alcova per giovani amanti che volevano proteggersi da occhi indiscreti. I messaggi di amore scritti su muri e pilastri sono ancora leggibili. Un tesoro di architettura con arcate, pilastri e capitelli di inestimabile valore. La scala a chiocciola di ferro porta su di una torretta, punto più alto del palazzo. La vecchia proprietà deteneva gran parte del territorio brianese. Quella che ancora oggi viene chiamata la ‘vianella della torre’ testimonia un passaggio riservato per arrivare fino alla chiesa centrale. A destra del palazzo c’erano invece altre scuderie, visibili da un piano del marchesale, tutto intorno ci sono occupanti abusivi che nel tempo si sono appropriati di quelli che erano i giardini del palazzo per trasformarli in orti ricoperti per altro da tettoie di amianto, di parti del cortile costruendoci per fino una cosa a torre, giusto per strizzare l’occhio alla torre del marchese.

IL FUTURO

Il sindaco del paese, Luigi Della Corte vorrebbe recuperarlo ma nelle casse municipali non ci sono abbastanza soldi. Sarebbe necessaria una cordata di imprenditori appassionati di storia o una fondazione bancaria capace di vedere in quella torre un investimento che va oltre il semplice denaro. Ma anche un Dipartimento universitario che riscopra la bellezza della ricerca e progetti di crowdfunding. I proprietari sono disposti a vendere con il desiderio anche di veder riqualificato l’intero complesso e chissà che non si riesca a farlo per davvero.

redazione

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