Il detenuto ndranghetista ha deficit immunitario e il giudice decide per i domiciliari

Il contagio Coronavirus minaccia anche il carcere e per il capocosca calabrese, il giudice decide per la misura dei domiciliari.

L’emergenza Coronavirus può arrivare anche in carcere e allora la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha accolto la richiesta degli avvocati Mario Murone e Salvatore Cerra decidendo per la misura dei domiciliari. Vincenzino Iannazzo non è però un delinquente qualunque è capocosca dell’omonima consorteria di Lamezia Terme in Calabria, già condannato in appello a 14 anni e 6 mesi di reclusione e ora in attesa della sentenza davanti alla Corte di Cassazione, soffrirebbe di un deficit immunitario. La decisione del giudice che ha comunque previsto l’applicazione del braccialetto elettronico, sta facendo molto discutere.

“Colpisce e desta umano, profondo sconcerto l’ordinanza con cui la seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha scarcerato, ponendolo ai domiciliari, Vincenzino Iannazzo, ritenuto capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, attiva nel territorio di Lamezia Terme”, affermano, in una nota, i parlamentari M5S Giuseppe d’Ippolito, lametino, e Nicola Morra, presidente della commissione bicamerale Antimafia.

“Si tratta – proseguono i due parlamentari del Movimento 5 Stelle – di una decisione del potere giudiziario, assunta sulla base di un’autonoma valutazione di incompatibilità di Iannazzo, con il regime carcerario in questa fase di emergenza sanitaria causata dal nuovo coronavirus. Non possiamo però esimerci – precisano– dall’esprimere le nostre legittime preoccupazioni per questo provvedimento. Ci chiediamo, infatti, se nello specifico a Iannazzo non si potessero proprio dare adeguate assistenza medica e sanitaria dentro il carcere”. “Ci auguriamo – concludono D’Ippolito e Morra – che nelle sedi competenti ci sia al più presto un ulteriore approfondimento, che doverosamente sollecitiamo, sulla possibilità di mantenere in carcere Iannazzo, evitandone i domiciliari e migliorando l’assistenza medica e sanitaria cui ogni detenuto ha comunque diritto”.

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