Il clan imponeva il servizio: estorsioni sulle affissioni elettorali

CI sono altri aspetti nell’inchiesta dei magistrati della Dda, che ha portato agli arresti domiciliari i politici Pasquale Carbone e Pasquale Corvino. Accusati di aver chiesto voti al clan Belforte in cambio di soldi. Gli inquirenti hanno scoperto anche un’estorsione sul servizio di affissione elettorale, durante le consultazioni per il rinnovo del consiglio regionale, svoltesi il 31 maggio 2015. I candidati per avere la ‘giusta visibilità’ si dovevano rivolgere alla ‘Clean Service’.

Le imposizioni sul servizio elettorale

Nelle indagini coordinate dalla Dda di Napoli, è stato possibile accertare come Giovanni Capone dal carcere, attraverso alcuni pizzini riusciva a parlare con il fratello Agostino Capone. Nei messaggi chiedeva di occuparsi dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di di Caserta. Così Agostino Capone, in collaborazione con Vincenzo Rea, Antimo Italiano, Antimo Merola e Antonio Zarrllo, hanno imposto ai candidati di fare riferimento esclusivo alla ‘Clean Service‘. Società riconducibile a Capone, in quanto intestata alla moglie. Maria Grazia Semonella. Le imposizioni del clan arrivavano, come accertato dalle intercettazioni, attraverso le intimidazioni ma anche con minacce rivolte ad altri soggetti che effettuavano il servizio di affissione nelle città. Inoltre il clan copriva i manifesti degli altri candidati che non si rivolgevano alla ‘Clean Service’ e facevano capire che il ‘problema’ non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla società di Semonella.

La conferma di Luigi Bosco

La conferma dell’imposizione sull’estorsione del servizio elettorale è arrivata anche dal consigliere regionale Luigi Bosco. Il consigliere si era accorto delle anomalie nel sistema di affissione, ed ha raccontato agli inquirenti che un suo collaboratore, durante “l’affissione dei manifesti nel Comune di Caserta, era stato aggredito da alcune persone che gli avevano intimato di allontanarsi, in quanto a Caserta nessuna poteva affiggere senza il loro consenso“. Alle minacce era seguita la visita di Vincenzo Rea presso il comitato elettorale di Bosco. In quel frangente aveva detto che se non voleva problemi e desiderava la giusta visibilità si doveva affidare alla loro organizzazione per l’affissione dei manifesti. Questo servizio avrebbe fruttato circa 17 mila euro, così come captato durante le conversazioni tra gli indagati. Una parte di questi soldi sarebbe stata utilizzata per rimpinguare le casse della fazione riferibile a Giovanni Capone, oltre a sostenere gli affiliati in carcere.

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