L’arrivo massivo di frumento duro da Turchia, Russia e Kazakistan e di grano tenero dall’Ucraina manda i mercati italiani in tilt
Il mercato dei cereali in Italia è in difficoltà, con prezzi in continuo calo, a partire dal grano duro che ha subito un vero e proprio crollo nell’ultima settimana.
Con valori di vendita ben al di sotto dei costi di produzione e una delle peggiori mietiture degli ultimi anni a causa del cambiamento climatico, il rischio concreto è l’abbandono progressivo delle colture e una crescente dipendenza dalle forniture estere di grano duro, frumento tenero e mais.
Le organizzazioni agricole attribuiscono la colpa a un presunto eccesso di importazioni, nonostante l’Italia sia strutturalmente deficitaria nella produzione di grano e mais, e alla mancanza di un quadro normativo interno adeguato, che permette alle variazioni dei prezzi di mercato di erodere i redditi degli agricoltori.
Recentemente Italmopa, l’Associazione tra gli Industriali Molitori Italiani di Confindustria, ha commentato i controlli nei porti sugli arrivi di grano duro estero. Il primo report della Cabina di regia interforze sui controlli agroalimentari, coordinato dal ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, con il coinvolgimento del Comando dei Carabinieri per la Tutela Agroalimentare, della Guardia di Finanza, delle Capitanerie di Porto e dell’Icqrf (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari), ha evidenziato, secondo Italmopa, “la salubrità del frumento duro di importazione e la sua piena conformità alle rigide normative comunitarie in materia igienico-sanitaria”.
Il presidente di Italmopa, Vincenzo Martinelli, in merito al report reso noto il 29 febbraio scorso nell’ambito del programma straordinario di verifiche sul frumento duro di importazione inoltre afferma:”il quantitativo ispezionato ha riguardato, sinora, circa 420 milioni di chili di grano duro di importazione destinato all’alimentazione umana ed ulteriori controlli nei porti di arrivo sono stati successivamente eseguiti da parte delle autorità di vigilanza e di controllo, gli esiti dei robusti controlli effettuati costituiscono in primis una garanzia per l’industria molitoria, per la quale la sicurezza alimentare costituisce un prerequisito inderogabile nelle proprie strategie di approvvigionamento, ma anche una chiara smentita di ricorrenti campagne denigratorie che celano meri interessi di categoria dietro la presunta difesa dei consumatori”.
Italmopa, al fine di porre fine alle attività di sistematica disinformazione, chiede alle amministrazioni coinvolte nelle operazioni straordinarie di controllo, ordinate dalla Cabina di regia, di “prevedere un monitoraggio costante e meticoloso della qualità dei frumenti d’importazione e nazionali, e la pubblicazione dei risultati riscontrati”.
Coldiretti Puglia imputa il crollo del prezzo del grano duro fino a Foggia di mercoledì scorso di 20 euro alla tonnellata all’asta indetta in Turchia dal Tmo per il prossimo 11 marzo per esportare altre 150mila tonnellate di grano duro.
In una nota chiede di “serrare i controlli nei porti“, considerato che già nel 2023 le importazioni di grano russo e turco sono aumentate rispettivamente del +1.164% e del +798%, secondo un’analisi del Centro Studi Divulga, “un fenomeno mai registrato nella storia del nostro Paese – sottolinea l’organizzazione agricola pugliese – per cui i prezzi del grano italiano sono crollati del 60% su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro di migliaia di aziende agricole”.
Per Coldiretti Puglia, le importazioni di grano – specie quello proveniente dal Canada – sarebbero favorite dagli accordi internazionali, come il Ceta “per cui per esempio nei primi sette mesi del 2023 – secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat – sono aumentate del 530% le importazioni di grano dal Canada, dove viene utilizzato glifosate in pre raccolta con modalità vietate in Italia”.
Un capitolo a parte è il grano ucraino, per cui occorre evitare che l’afflusso di grandi quantità di prodotto sul mercato europeo possa far crollare le quotazioni, con il prezzo pagato agli agricoltori che rischia di scendere al di sotto dei costi di produzione. Su tanto Coldiretti propone di “utilizzare parte dei fondi Ue messi a disposizione per l’emergenza ucraina per acquistare e stoccare in magazzini europei i prodotti cerealicoli e, più in generale, prodotti agricoli da destinare ai Paesi colpiti da gravi emergenze alimentari”.
“In questo modo si eviterebbe la destabilizzazione del mercato comunitario – sottolinea l’organizzazione – e al tempo stesso si potrebbe valorizzare il ruolo geopolitico dell’Europa nella lotta all’insicurezza alimentare di queste aree, sulle quali cresce sempre più l’influenza di Paesi come la Russia”.
Coldiretti infine ribadisce la necessità di ridurre la dipendenza dall’estero utilizzando lo strumento degli accordi di filiera anche nell’ambito del Pnrr, con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi, affinché siano garantiti agli agricoltori “prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali” con una spinta che può venire dalla Cun, Commissione Unica Nazionale, grano duro ma anche dalla promozione della pasta 100% italiana sostenendo l’intera filiera.
La massiccia importazione di frumento da Paesi come Turchia, Russia e Ucraina rappresenta un’ulteriore e seria minaccia per le produzioni made in Italy. Crollano i prezzi all’origine e le semine nazionali sono al minimo storico.
Pertanto, serve maggiore trasparenza sui mercati e il riconoscimento dei costi ai cerealicoltori. Questa in sintesi la proposta di Cia – Agricoltori Italiani, ricordando le richieste già avanzate al Governo e sempre più in allarme per le sorti di un settore già costretto a lavorare in perdita e senza strumenti adeguati per risolvere la crisi.
Cia fa riferimento “all’inconcepibile mancata istituzione del registro telematico sulle giacenze dei cereali, Granaio Italia, importante in termini di maggiore trasparenza e la cui entrata in vigore viene continuamente rinviata. Così come si attende da tempo uno strumento che certifichi i costi di produzione per definire, in modo chiaro, anche i termini di contrattazione”.
“L’Italia – precisa Cia – importa il 40% del fabbisogno di grano duro, il 65% di tenero e il 55% del mais. Eppure, nonostante la carenza di prodotto nazionale e la continua richiesta da parte dei consumatori di prodotti 100% italiani, le quotazioni dei maggiori cereali sono sempre più mortificanti per gli agricoltori. Oggi, considerando le ultime quotazioni sul grano duro pari a circa 34 euro al quintale e le rese degli agricoltori di circa 30 quintali a ettaro, si arriva di fatto a una produzione lorda vendibile di 1.100 euro a ettaro, ma con costi di produzione di gran lunga superiori ai 1.400 euro a ettaro“.
Non solo, i primi dati Cia sulle nuove semine “segnalano un preoccupante calo delle superfici coltivate a grano duro di circa 130 mila ettari” è scritto nella nota. Anche a causa dei cambiamenti climatici, si prospetta per il Paese un raccolto tra i più bassi di sempre. E la situazione non è differente per il grano tenero e il mais.
“Non è pensabile andare avanti senza politiche di contenimento da parte dell’Europa – afferma il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini – le aziende stanno abbandonando le colture. Le istituzioni tutte agiscano rapidamente, il Governo ci dia risposte immediate rispetto alle istanze presentate da troppo tempo, con un documento concreto di proposte, una mobilitazione in piazza e una petizione online salva grano made in Italy, che supera le 75mila firme. Non si trascurino ancora i rischi economici, sociali e ambientali di questa crisi, non solo per il comparto cerealicolo, ma per l’intero Paese”.
Confagricoltura lancia l’allarme sul crollo dei prezzi all’origine dei cereali. Perché senza un’inversione di tendenza, la prossima disponibilità dei nuovi raccolti può avere effetti devastanti sulla continuità produttiva delle imprese agricole.
La contrazione delle produzioni è da mettere in relazione con l’eccezionale aumento delle importazioni da Paesi terzi che non sono tra i tradizionali fornitori del mercato italiano.
I dati Istat relativi al periodo gennaio-novembre 2023 certificano che le importazioni di grano duro dalla Federazione Russa sono ammontate a circa 400mila tonnellate. Nello stesso periodo del 2022, si attestavano appena a 32mila tonnellate. L’aumento, quindi, è di oltre il 1.100%. Allo stesso tempo, il grano duro in arrivo dalla Turchia è arrivato ad incidere per poco meno del 40% sul totale delle importazioni italiane.
Per quanto riguarda poi il grano tenero, Confagricoltura sottolinea: “continuano a salire le esportazioni di grano tenero dell’Ucraina verso la Ue“. Stando ai dati della Commissione Europea, da gennaio a ottobre 2023 l’aumento è stato del 40% sullo stesso periodo dell’anno precedente.
Per l’organizzazione agricola lo squilibrio dei mercati non è limitato all’Italia. La Lituania, ad esempio, ha deciso il blocco delle importazioni agroalimentari dalla Federazione Russa e la Polonia ha annunciato che chiederà nei prossimi giorni alle istituzioni di Bruxelles di assumere sanzioni europee nei confronti dei prodotti agroalimentari russi e bielorussi.
Nell’ambito delle discussioni in corso sul rinnovo della sospensione dei dazi e dei contingenti sulle importazioni dall’Ucraina, Confagricoltura ha chiesto di includere cereali e semi oleosi nella lista dei prodotti sensibili, per i quali è previsto il ripristino dei dazi in caso di superamento di massimali prefissati. “La Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo ha accolto la richiesta, ma non basta” afferma Confagricoltura.
“La profonda crisi dei mercati in Italia e nella Ue impone decisioni coraggiose anche sul piano politico. L’estensione delle sanzioni ai prodotti agroalimentari russi va presa senza riserve in considerazione” conclude Confagricoltura.
E i cambiamenti in atto vanno gestiti meglio, a cominciare dall’import di grano tenero dall’Ucraina, anche ristabilendo contingentamenti e dazi, senza contare i maggiori controlli sulle importazioni e lo stoccaggio finalizzato ad aiuto alimentare e per evitare crolli repentini dei prezzi.
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