Governo Meloni e le misure elettorali poco generose: ecco perché

Il governo Meloni ci sta provando con “social card”, norme sulla sanità e bonus da 100 euro, mentre in passato altri puntarono su altro

È ormai una consuetudine che i governi approvino provvedimenti dal grande impatto mediatico a ridosso di elezioni importanti.

L’obiettivo dei presidenti del Consiglio o dei ministri è annunciarli poco prima del voto nella speranza di guadagnare consensi. Solo considerando le elezioni europee, questo è accaduto nelle ultime due tornate: nel 2014 con il famoso bonus da 80 euro del governo Renzi e nel 2019 con l’avvio del reddito di cittadinanza voluto dal Movimento 5 Stelle, all’epoca al governo con la Lega.

Anche la premier Giorgia Meloni ha seguito questa tradizione cercando di approvare in tempo utile per le elezioni europee di sabato e domenica provvedimenti a sostegno delle fasce meno abbienti della popolazione.

Tuttavia, a differenza del passato, lo stato piuttosto disastrato dei conti pubblici e la necessità di controllare la spesa hanno costretto il governo a limitarsi agli annunci, posticipando l’attuazione effettiva delle norme a un futuro più o meno prossimo.

Social card del Governo Meloni meno generosa rispetto alle misure elettorali del passato, perché?

L’ultimo esempio è la social card “Dedicata a te”, una carta per l’acquisto di beni di prima necessità già introdotta lo scorso anno, ora viene rinnovata.

Il rinnovo è stato annunciato dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, alla quale erano presenti anche vari parlamentari di Fratelli d’Italia, i quali hanno subito condiviso l’iniziativa sui loro canali social.

Ministro dell'Agricoltura Lollobrigida
Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida – ANSA – Ireporters.it

 

Rispetto alla versione distribuita lo scorso anno, la dotazione della nuova carta aumenterà da 459 euro a 500 euro, erogati tutti in un’unica tranche, mentre nel 2023 erano stati distribuiti 382 euro a luglio e ulteriori 77 euro a dicembre.

La carta sarà destinata a un numero maggiore di famiglie: dai 1,2 milioni di nuclei beneficiari dell’anno scorso a almeno 1,3 milioni quest’anno. I criteri restano gli stessi: famiglie con almeno tre componenti residenti in Italia, un ISEE non superiore a 15.000 euro e che non usufruiscano già di altri sussidi contro la povertà.

Di conseguenza aumenta anche la spesa complessiva, con il fondo per finanziare la social card che passa da 520 a circa 676 milioni di euro.

L’annuncio di questa misura, poche ore prima delle elezioni, sembra avere solo una motivazione elettorale. Infatti, per attuare il provvedimento è necessario un decreto interministeriale, che dovrà essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Successivamente, l’INPS dovrà compilare le liste delle famiglie idonee al sostegno. Dopodiché i comuni avranno poi venti giorni per esaminare queste liste e correggere eventuali errori. Infine, Poste Italiane dovrà produrre materialmente le carte.

Nel 2023, il decreto interministeriale era stato emanato il 18 aprile, sfruttando un fondo previsto nella legge di bilancio del dicembre precedente.

L’annuncio della social card “Dedicata a te” era stato fatto l’11 luglio, con la distribuzione delle carte prevista dal 24 luglio. Questa volta, però, il decreto non è ancora stato emesso, e ci vorranno quasi tre mesi per mettere in circolo le nuove carte.

Il ministro Lollobrigida ha spiegato che l’annuncio anticipato è stato deciso a causa di un articolo pubblicato su La Stampa il 30 maggio, che evidenziava le difficoltà e i ritardi nel rinnovo della carta, generando dubbi e timori tra i potenziali beneficiari.

L’annuncio del bonus da 100 euro per i lavoratori con almeno un coniuge e un figlio a carico e un reddito annuo del 2024 non superiore a 28.000 euro, ha seguito una dinamica simile.

L’approvazione di questo provvedimento il 30 aprile scorso, inserito in un decreto legislativo sulla politica fiscale, aveva suscitato un certo clamore.

Nei giorni precedenti, il governo aveva fatto circolare voci secondo cui il bonus sarebbe stato erogato immediatamente, o al più tardi a partire da luglio; c’era anche incertezza se sarebbe stato un bonus una tantum, cioè concesso una sola volta, o rinnovabile durante l’anno.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, preoccupato per la tenuta dei conti pubblici, aveva espresso perplessità riguardo a interventi costosi che potessero compromettere le finanze dello Stato.

Alla fine, il provvedimento è stato notevolmente ridimensionato rispetto alle aspettative iniziali: il bonus sarà infatti una tantum, come le social card, sarà lordo, quindi soggetto a ritenute fiscali, risultando in un importo effettivo di circa 77 euro nella maggior parte dei casi; e sarà erogato solo in base ai mesi lavorati.

Ad esempio, un lavoratore che nel 2024 è stato occupato solo da settembre a dicembre riceverà un terzo del bonus, cioè circa 30 euro. Inoltre, il bonus sarà erogato a partire da gennaio 2025, poiché nel bilancio di quest’anno non sono stati trovati i circa 100 milioni di euro necessari per finanziarlo.

Il percorso è stato simile anche per il provvedimento sulle liste d’attesa negli ospedali: il ministro della Salute, Orazio Schillaci, stava lavorando a queste misure da tempo su richiesta di Giorgia Meloni. Tuttavia, tutte le proposte ambiziose sono state respinte dal ministero dell’Economia a causa dei costi eccessivi.

Schillaci avrebbe preferito rimandare, ma la presidente del Consiglio ha insistito per l’approvazione di una misura sulla sanità, un tema su cui viene spesso criticata dalle opposizioni.

La soluzione è stata approvare due provvedimenti distinti durante lo stesso Consiglio dei ministri: un decreto-legge con interventi per ridurre le liste d’attesa, ma resi inefficaci dalla mancanza di finanziamenti adeguati e un disegno di legge con altre misure che avranno una maggiore copertura finanziaria, ma che seguirà il percorso ordinario e senza scadenze nel parlamento.

Di conseguenza, nonostante gli annunci del ministro Schillaci, l’unica misura concretamente sostenuta da un budget è la detassazione degli straordinari: i medici che lavoreranno oltre l’orario previsto per fare visite e controlli vedranno gli straordinari tassati solo al 15%, invece che secondo l’aliquota fiscale ordinaria. Questo intervento costerà al massimo 250 milioni di euro.

Le misure elettorali più consistenti

Al di là dei giudizi sui singoli provvedimenti, sia il primo governo di Giuseppe Conte nel 2019 sia quello di Renzi nel 2014 avevano approvato misure “elettorali” molto più consistenti.

Nel 2014, Renzi superò le iniziali resistenze del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e fece in modo che il bonus annunciato in campagna elettorale fosse operativo a partire da maggio, il mese delle elezioni europee (il Partito Democratico ottenne poi il 40,8% dei voti).

Giuseppe Conte fece una misura elettorale ad hoc insieme alla Lega
Giuseppe Conte fece una misura elettorale ad hoc insieme alla Lega – Wikimedia Commons @European Parliament from EU – Ireporters.it

 

Questo bonus era una detrazione fiscale sull’IRPEF per tutti i lavoratori dipendenti con un reddito annuo tra gli 8.000 e i 24.000 euro, che dalla busta paga di maggio in poi ricevettero 80 euro in più al mese. Il costo totale della misura fu di circa 7 miliardi di euro e divenne una parte stabile del sistema fiscale italiano, beneficiando oltre 12 milioni di lavoratori negli anni successivi.

Nel dicembre del 2018, la legge di bilancio predispose il reddito di cittadinanza, approvato il 17 gennaio 2019 tramite il cosiddetto “decretone”, che stanziava anche i fondi per Quota 100, una misura per i pensionamenti anticipati voluta dalla Lega di Matteo Salvini.

Nonostante le difficoltà burocratiche e amministrative, il governo riuscì ad attivare le procedure per l’erogazione del reddito di cittadinanza nell’aprile di quell’anno, il mese prima delle elezioni europee, in cui il M5S ottenne un risultato deludente (17%).

La misura costò quasi 6 miliardi di euro nel 2018 e oltre 7,5 miliardi di euro all’anno nei successivi fino alla sua soppressione definitiva, decisa dal governo Meloni a partire da gennaio 2024. Il reddito di cittadinanza beneficiò in media circa 3,5 milioni di persone all’anno.

Questa volta, il governo attuale ha dovuto evitare quasi completamente gli aumenti di spesa, data la mancanza di fondi. Anche cinque o dieci anni fa non era consigliabile creare nuovo debito, considerando che l’Italia ha uno dei debiti pubblici più alti dell’Occidente da decenni.

Tuttavia, i provvedimenti del 2014 e del 2019 erano considerati misure fondamentali dai rispettivi governi, che avevano quindi riservato finanziamenti programmati in anticipo.

Invece, il governo Meloni ha cercato di combinare diverse norme minori con impatto limitato, che non erano centrali nel programma di governo.

Questo in un periodo complicato per le finanze italiane: il governo ha ereditato l’enorme spesa degli incentivi per le ristrutturazioni edilizie, in particolare il Superbonus 110%, e nei prossimi mesi dovrà trovare circa 20 miliardi di euro per rinnovare nel 2025 le agevolazioni fiscali previste solo per il 2024.

Finora, il governo si è rifiutato di indicare nei documenti ufficiali come intende affrontare questo problema, rimandando la decisione a dopo le elezioni europee.