21 marzo, primo giorno di primavera del 2020 e oggi, per l’Italia è anche la giornata nazionale della memoria e dell’Impegno promossa dall’associazione Libera nomi e numeri contro le mafie. C’è allarme Coronavirus e non si può marciare spalla a spalla così come si è fatto per anni e allora la marcia stavolta si fa sui social, inondati di foto, disegni, messaggi e video.
Sembra quasi che vada tutto bene e che attorno alle vittime innocenti delle mafie ci sia un alone protettivo. E invece no, non è così. Mentre ci sono le restrizioni per il contagio Coronavirus, mentre l’Italia teme per il proprio equilibrio economico, sociale e anche psicologico e ci si domanda se mai potrà tornare la normale quotidianità e mentre tutto o quasi tutto è bloccato, per contenere l’emergenza alcune vittime innocenti di mafia, camorra, ndrangheta sono ancora discriminate. “Ricordiamo le donne e gli uomini che hanno pagato con la vita l’impegno coerente contro le mafie, la fedeltà alle istituzioni repubblicane, la libertà di sottrarsi al ricatto criminale e al giogo violento della sopraffazione”, ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La memoria non ha senso se non si restituisce giustizia a quei morti ammazzati per errore e senza colpa. Il Ministero dell’Interno però, anche nel momento di fragilità nazionale, continua a fare Appelli contro sentenze di Tribunale che riconoscono l’innocenza delle vittime e la legittimità dei familiari. E’ accaduto nel caso di Salvatore Barbaro. Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto alla madre malata di cancro e ai fratelli di Salvatore, il diritto al risarcimento e soprattutto il diritto del ragazzo ucciso per errore a non essere discriminato. Ad accertare la dinamica dei fatti e la totale estraneità della vittima da ambienti delinquenziali ci sono sentenze penali e civili. L’ultima in ordine di tempo è di circa un mese fa ma non basta: il Ministero, l’ultimo giorno utile ha presentato appello. Il padre di Flavio Russo ha aspettato che il figlio potesse avere il riconoscimento ma è morto prima. Fu ucciso a 21 anni, nel 1992. Nel 2001, il Ministero ma evidentemente con funzionari diversi, riconobbe Flavio Russo vittima innocente e i familiari come persone meritevoli del riconoscimento.
L’elenco di vittime innocenti è lungo, più di trecento quelle della Campania. Di alcuni abbiamo già sentito i nomi, di altri ne conosciamo le storie e per altri ancora immaginiamo che avessero dei figli, dei fratelli, delle mamme e dei papà che poi li hanno pianti per colpa della camorra. Nell’ultimo decennio, a partire dal 2014, l’impegno dello Stato è venuto a scemare. Prima ci ha pensato la spending review e poi l’azzeramento del principio solidaristico delle norme pensate a favore delle vittime. Per ultimo l’introduzione di norme che hanno creato dolorose discriminazioni. Sul punto è più volte intervenuto il Comitato don Peppe Diana, Libera e Addiopizzo dalla Sicilia. Di recente anche il Coordinamento regionale per le vittime innocenti in Campania con la manifestazione fuori alla sede del Parlamento e l’intervento del presidente di Libera, don Luigi Ciotti e poi ancora la Commissione parlamentare Antimafia che con il presidente Nicola Morra ha audito la società civile anche su questi dolorosi punti. “Verità, giustizia e diritti per le vittime innocenti delle mafie”, ha chiesto Morra. Il presidente della Camera, Roberto Fico, si è impegnato a costituire un Tavolo permanente per la risoluzione ed eliminazioni delle ingiustizie perpetrate da alcuni funzionari dello Stato.
Impossibile per il momento, parlare di equità di trattamento per i familiari di vittime innocenti che si vedono archiviare e rigettare istanze alla pari di delinquenti o truffatori come se volessero sfruttare la disgrazia subita per accaparrarsi emolumenti. Tantissimi sono i familiari di chi è stato ucciso da innocente e che ha visto nello Stato italiano non un amico ma un avversario in sede giudiziaria. È il caso di Giuseppe Quadrano, il postino di San Cipriano D’Aversa nel Casertano. Fu ucciso perché era cugino di un collaboratore di giustizia e dunque punito perché disse di ‘no’ alla camorra che gli aveva chiesto di intervenire per far desistere il parente dalla collaborazione. Il paradosso è che il Ministero non vuole riconoscerlo vittima innocente proprio per via di quella parentela che lo fece assassinare. Va poi aggiunta la decisione del Ministero dell’Interno che da qualche anno dichiara decaduto il diritto al riconoscimento di vittima innocente. Ma come è possibile dire ad un familiare che è tardi per veder riconosciuto un diritto? La tardività chi la stabilisce? In molti casi, i colpevoli della morte delle vittime innocenti non hanno ancora un nome né un volto e l’elenco dei cold case o dei ‘tardivi’ è lungo. Cold case è Dario Scherillo, aveva 26 anni e fu ucciso il 6 dicembre del 2004 a Casavatore nel Napoletano, mentre era in sella al suo scooter, per tornare a casa. Lo è pure, Adriano Della Corte aveva 18 anni quando fu ucciso e da 36 anni i familiari chiedono che venga fatta giustizia. Nel 1993 Carmine Schiavone allora collaboratore di giustizia dichiarò che Adriano Della Corte era stato ucciso per errore. Schiavone indicò anche i nomi dei presunti responsabili ma non si è mai arrivati ad un processo. L’istanza dei familiari Della Corte è stata rigettata perché è tardi. E allora, nella giornata nazionale della memoria dell’impegno è bene parlare anche di quest’altro lato della medaglia.
Tina Cioffo
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