Il bikini compie 78 anni: l’iconico costume da bagno, oggi tra i più indossati al mondo, ha una storia e origini lontane e nel corso degli anni ha assunto significati via via sempre diversi
Il bikini, o almeno il costume a due pezzi, è apparso per la prima volta durante il periodo imperiale romano (I-II secolo d.C.). In origine non era utilizzato per nuotare, dato che all’epoca si nuotava nudi, né per prendere il sole, una pratica diventata comune solo molti secoli dopo.
A quanto pare, ciò che negli anni ’50 è diventato il famoso bikini, era usato principalmente per l’atletica, la danza, il gioco della palla e nelle scuole di ginnastica.
Nella Villa Romana del Casale, situata a circa quattro chilometri da Piazza Armerina, in Sicilia, si trova la famosa Stanza delle dieci ragazze. Qui, un mosaico risalente al III secolo d.C. raffigura giovani donne che, in costume a due pezzi, praticano diverse attività sportive.
Giornata del bikini, quali sono le origini dell’indumento?
Quando è arrivato il bikini come lo conosciamo oggi? Molto più tardi, nel 1946 quando due stilisti francesi, Louis Réard e Jacob Heim,reinventarono il costume da bagno femminile a due pezzi succinti, dandogli inizialmente il nome di un atollo del Pacifico.
Quell’anno, gli Stati Uniti fecero esplodere alcuni ordigni nucleari sull’atollo di Bikini (Isole Marshall). Poiché questo evento fece tanto scalpore quanto l’introduzione del nuovo costume, gli stilisti decisero di chiamarlo bikini in onore dell’atollo.
Il 5 luglio 1946 sul mercato fecero la loro comparsa due strisce di stoffa destinate a diventare tra le più controverse nella storia della moda: il bikini.
Anche se oggi siamo abituati a vederlo ovunque, la sua storia è strettamente legata all’emancipazione femminile, alla consapevolezza del corpo e ai cambiamenti della morale occidentale.
Già prima dell’invenzione del bikini, qualche lembo di pelle tra il busto e il bacino iniziava a fare capolino. Negli anni ‘30, con l’introduzione di nuovi materiali come il lattice e il nylon, le scollature diventano più profonde, le maniche scompaiono e i costumi aderiscono maggiormente al corpo.
Si diffondono lespalline, che possono essere abbassate per prendere il sole. L’attività di “prendere il sole” inizia gradualmente ad affiancare quella di “fare il bagno”.
Nella seconda metà degli anni ’30 e soprattutto nei primi anni ‘40, i costumi da bagno a due pezzi iniziano a diffondersi. Nel 1938, la diffusione del cotone elastico arricciato segna la fine dell’era dei costumi di lana. Questi cambiamenti anticipano la rivoluzione del bikini, che svelerà più pelle anche per motivi economici.
Durante la guerra la necessità di materiali tessili per scopi militari aumenta: cotone, seta, lana, nylon, pelle e gomma sono destinati alle uniformi e non possono essere impiegati per la moda da spiaggia femminile.
Nel 1943, il governo statunitense ordina una riduzione del 10% dei materiali usati per confezionare costumi femminili. Nel 1946 nasce l’Atome, creato dal designer francese Jacques Heim. Il due pezzi prende il nome dalla particella più piccola conosciuta e copre appena l’ombelico.
Nello stesso anno, il sarto francese Louis Réard va oltre. Dopo aver visto una donna a St. Tropez arrotolare il costume per abbronzarsi meglio, ispirato dall’azienda di intimo della madre a Parigi, inventa il bikini: 4 triangoli di stoffa uniti da laccetti, per un totale di appena 194 cm quadrati, che lasciano esposto l’ombelico femminile. Il modello originale riprende le scritte di una pagina di giornale.
Come scritto precedentemente, il nome è ispirato all’Atollo Bikini, dove gli Stati Uniti stavano conducendo test nucleari proprio in quei giorni. Réard pensava che l’impatto del suo costume sull’opinione pubblica sarebbe stato pari a quello di una “bomba atomica”.
In effetti, il bikini scioccò l’opinione pubblica per via dell’ombelico scoperto, un tabù fino ad allora. Réard non trovò modelle disposte a indossare il bikini, così ingaggiò Micheline Bernardini, spogliarellista parigina.
Réard era avanti sui tempi della moda di almeno 15-20 anni. Nella sua campagna contro Heim, che pubblicizzava l’Atome come “il costume più piccolo al mondo”, Réard affermava di aver inventato “un costume più piccolo del più piccolo costume al mondo”.
Anche il nome ebbe un effetto dirompente. Réard, esperto di marketing, lanciò una campagna secondo la quale “non è un vero bikini se non passa attraverso un anello nuziale”.
Ma il bikini, nonostante il successo mediatico, stenta a decollare sulle spiagge.In molte di queste – dalla costa atlantica francese alla Spagna, dal Belgio all’Italia, al Portogallo – è vietato, e per vendere Réard, nella vicina Francia, disegna due pezzi più accollati, per continuare a portare avanti l’attività della madre.
Solo alcune donne europee molto benestanti osano adottare il costume proposto dal francese. Ma nella cultura di massa non è ancora molto diffuso, fino a quando qualcosa iniziò a muoversi.
Nel 1951, Kiki Håkansson, una ragazza svedese, si aggiudica la fascia di “Miss Mondo” (originariamente una gara di bikini, per lanciare il nuovo costume) e viene premiata mentre indossa il costume di Réard.
Succede un finimondo: i Paesi partecipanti di forte tradizione cattolica minacciano di ritirare le proprie candidate, e la Håkansson rimarrà da allora, per molto tempo, l’unica Miss Mondo incoronata con un bikini.
Intanto però, in Francia sono molte le ragazze che ammirano le “donne dello scandalo”, che osano andare in spiaggia in bikini. Tra queste c’è Brigitte Bardot, che durante il Festival del Cinema di Cannes, nel 1953, si fa fotografare più volte in bikini, sdoganando il due pezzi “osé” in Francia e negli Stati Uniti, e trasformando Saint-Tropez la capitale del costume sexy. Nel 1952 indossa un bikini nel film Manina, la ragazza senza veli.
E nel 1956 replica in E Dio creò la donna, lanciando la moda del costume a due pezzi anche tra le dive di Hollywood. Posare in bikini per attrici del calibro di Marilyn Monroe e Betty Grable diviene una tappa quasi d’obbligo, che testimonia audacia e sex appeal.
Ma negli Stati Uniti, la National Legion of Decency, un’organizzazione cattolica incaricata di vigilare sui contenuti proposti nelle pellicole cinematografiche, fa pressioni su Hollywood per bandire i bikini, e soprattutto l’esibizione dell’ombelico, dal grande schermo.
Ancora nel 1959 vengono accuratamente evitati i primi piani sulle attrici che lo indossano. Bisognerà attendere l’eterna Ursula Andress, Bond girl in Agente 007 – Licenza di uccidere (1962), per vedere uscire dall’acqua un perfetto bikini bianco in salsa Hollywood.
In quello stesso anno esce la prima copertina di Playboy con una pin-up in bikini. Le star di Hollywood Marilyn Monroe, Jayne Mansfield, Gina Lollobrigida e Jane Russel si fanno fotografare sempre più spesso con l’ombelico esposto.
Nel 1963 esce il filmBeach Party, con Annette Funicello e Frankie Avalon, che mostra una teenager giocare nella sabbia in bikini (ma in una versione più castigata) con alcuni ragazzi. È l’inizio di un fortunato genere cinematografico.
Per un altro bikini epico bisogna saltare al 1983: in quell’anno Carrie Fisher, l’attrice scomparsa nel 2016, nei panni della Principessa Leila di Guerre Stellari, prigioniera di Jabba the Hutt, indossa un bikini metallico neIl ritorno dello Jedi. Il due pezzi è rifinito in ottone e l’attrice dirà che “è quello che le modelle indossano nel settimo girone dell’Inferno”.
L’azienda di Réard chiude nel 1988, 4 anni dopo la sua morte. In quell’anno, i bikini rappresentano il 20% di tutto il fatturato dei costumi.
Negli anni ’90 godranno di fortuna alterna, anche a causa delle campagne di prevenzione contro il melanoma. Soprattutto, esploderanno in mille varianti, più o meno castigate (incluso il “monokini”, in cui manca la parte sopra, o il “seekini”, trasparente).
La storia di questo indumento ricopre un ruolo marginale in quella del 20esimo secolo, ma offre uno spaccato interessante sui costumi morali, sessuali e cinematografici dell’epoca appena trascorsa.