Età relativa: il mese di nascita influenza i risultati nella vita?

Secondo diversi studi esiste una correlazione, soprattutto nello sport, tra l’età relativa e i risultati nella vita. Scopriamo insieme di più al riguardo

La relazione tra il mese di nascita e il successo negli sport è stata studiata per decenni e si conosce come “effetto dell’età relativa” (Relative Age Effect, RAE).

Questo fenomeno si riferisce a una distribuzione sbilanciata delle date di nascita tra i giovani atleti selezionati dalle squadre di club, con una maggiore presenza di nati nel primo semestre dell’anno, soprattutto a gennaio e febbraio, rispetto a quelli nati nel secondo semestre.

Effetto dell’età relativa: il mese di nascita influenza i risultati nella vita?

Una delle spiegazioni più condivise di questo fenomeno è che selezionatori e talent scout spesso interpretano le buone prestazioni dei giovani atleti come un segno di abilità particolari, quando in realtà possono essere il risultato di uno sviluppo fisico più avanzato.

Di conseguenza, tendono a preferire nella selezione, anche involontariamente, gli atleti nati all’inizio dell’anno. Effetti simili a quello dell’età relativa – che riguardano anche lo sviluppo psicologico e cognitivo, oltre a quello fisico – si osservano anche in ambito scolastico, dove nei primi anni di formazione si notano risultati migliori tra i bambini nati prima dei loro coetanei.

Età relativa: il mese di nascita influenza i risultati nella vita?
Età relativa: il mese di nascita influenza i risultati nella vita? – Alexey Furman/Getty Images – Ireporters.it

 

La legge che regola le iscrizioni scolastiche, in Italia come in molti altri paesi, stabilisce che possono essere iscritti alla scuola primaria i bambini che compiono sei anni entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento.

Questo significa che in una stessa classe di prima elementare possono esserci bambini che hanno compiuto sei anni a gennaio e altri che li compiranno a dicembre, con undici mesi di differenza.

Diversi studi mostrano che gli scolari più giovani, cioè nati alla fine dell’anno, hanno maggiori probabilità di essere ripetenti e di ottenere risultati scolastici peggiori in varie fasi della loro formazione scolastica (quarto, ottavo e decimo anno) rispetto ai loro compagni di classe più grandi.

Gli effetti dell’età relativa tendono a svanire gradualmente con l’influenza crescente della scolarizzazione e di altri fattori che riducono gli svantaggi presenti nelle fasi iniziali.

Questi svantaggi si attenuano nel tempo perché le capacità fisiche e cognitive negli esseri umani aumentano molto rapidamente nei primi anni di vita e sempre meno successivamente: la differenza tra bambini di cinque e sei anni è generalmente molto maggiore di quella tra persone di 25 e 26 anni.

Tuttavia, se non correttamente considerati, i dislivelli iniziali di maturità e sviluppo possono avere effetti residui a lungo termine sul rendimento scolastico.

Gli studenti più giovani ottengono punteggi inferiori del 4-12% rispetto ai loro compagni più anziani al quarto anno di scuola, e del 2-9% all’ottavo anno, secondo uno studio condotto in vari paesi dell’OCSE, inclusa l’Italia, e pubblicato nel 2006 sul Quarterly Journal of Economics, una rivista dell’Università di Oxford.

Durante la pubertà, gli effetti dell’età relativa possono combinarsi con quelli dovuti allo sviluppo biologico asincron: a parità di classe d’età, un ragazzo nato prima può mostrare prima rispetto ai suoi coetanei gli effetti dell’aumento della produzione di testosterone e della conseguente accelerazione della crescita fisica e dello sviluppo della massa muscolare.

Secondo una ricerca della Scuola universitaria federale dello sport di Macolin, in Svizzera, la differenza relativa nei maschi raggiunge il picco poco prima dei 14 anni: dopodiché le differenze si riducono, poiché i ragazzi con sviluppo tardivo iniziano a recuperare lo svantaggio.

A 20 anni, la differenza nell’età biologica tra i ragazzi con sviluppo precoce e quelli con sviluppo tardivo è praticamente scomparsa.

Stabilire con precisione l’influenza degli effetti dell’età relativa sui risultati ottenuti nel corso della vita è complesso, poiché diventa sempre più difficile con l’aumentare dell’età del campione di popolazione studiato.

Questi effetti tendono a sovrapporsi ad altri fattori biologici, psicologici, sociali e culturali, generalmente trascurati negli studi che mostrano una correlazione tra il successo e le nascite nei primi mesi dell’anno (o nei primi mesi del periodo di selezione rilevante).

In alcuni casi, la correlazione scompare del tutto a causa di questi fattori, o addirittura diventa inversa: i più giovani ottengono risultati migliori dei loro coetanei più anziani.

Una ricerca del 2017 dell’Università di Sydney su oltre 6.000 nuotatori e nuotatrici professionisti, che avevano partecipato ai campionati nazionali dal 2000 al 2014, concluse che nelle categorie tra i 12 e i 14 anni diversi atleti mostravano vantaggi significativi legati all’età relativa.

Tuttavia, questi vantaggi si dissipavano entro i 15-16 anni, con poche eccezioni. Tra i 17 e i 18 anni, emergevano addirittura effetti inversi dell’età relativa: a ottenere i migliori risultati rispetto ai coetanei erano i nuotatori relativamente più giovani.

In altri casi, sia nello sport che in altri ambiti, la correlazione tra risultati positivi e nascite nei primi mesi dell’anno – almeno in parte spiegabile con gli effetti dell’età relativa – persiste anche dopo la pubertà.

La distribuzione anomala delle date di nascita nei primi mesi dell’anno tra i calciatori professionisti negli Stati Uniti, ad esempio, è ben documentata. Questo fenomeno è stato descritto nel libro di grande successo “Freakonomics” (2005), scritto dall’economista Steven Levitt e dal giornalista Stephen Dubner. Numerose ricerche in altri paesi hanno riscontrato nel tempo dati simili a quelli statunitensi.

La consapevolezza dell’effetto dell’età relativa è ben radicata negli Stati Uniti, dove, soprattutto tra le classi sociali più agiate, è emersa una tendenza dei genitori a cercare di compensare in anticipo gli svantaggi che i loro figli potrebbero avere nelle rispettive classi, se fossero molti mesi più giovani dei loro coetanei.

Uno dei rimedi più comuni è la pratica opposta alla primina, chiamata “redshirting” (dal nome di una prassi simile diffusa negli sport universitari): consiste nell’attendere un anno in più prima di iscrivere il bambino alla scuola dell’infanzia.

In questo modo, nelle classi di età subito successive, i bambini “redshirt” risultano essere i più anziani, anziché i più giovani.

Gli effetti del redshirting sono però molto dibattuti. La discussione scientifica riflette l’incertezza che caratterizza gli studi sull’età relativa, soprattutto quando si concentrano sugli effetti a lungo termine e su ambiti diversi da quello sportivo.

Da un lato, molte ricerche hanno rafforzato l’idea che essere più grandi dei propri coetanei – e quindi spesso più veloci, più intelligenti e fisicamente più forti – porti a una serie di vantaggi iniziali.

Dall’altro lato, studi che si concentrano su fasi di formazione successive indicano che, dopo una certa età, le disparità si attenuano e che in alcuni casi sono gli studenti relativamente più giovani a ottenere risultati migliori in ambito universitario.

Uno studio del 2011, condotto dall’economista Michele Pellizzari e dallo statistico Francesco Billari su un campione di studenti dell’Università Bocconi a Milano, ha rivelato che gli studenti relativamente più giovani avevano risultati migliori rispetto ai loro coetanei più anziani, specialmente nelle materie tecniche.

Una delle ipotesi avanzate da alcuni psicologi, tra cui l’americana Angela Duckworth, per spiegare perché la correlazione tra età relativa e risultati può invertirsi nel tempo, è che gli svantaggi iniziali possano stimolare una maggiore grinta e una costante predisposizione a superare i propri limiti tra le persone inizialmente svantaggiate.

L’idea sostenuta da Duckworth e altri è che i bambini imparino a competere in determinati ambiti, come la scuola, dove possono avere successo indipendentemente dai fattori che invece li penalizzano in altri campi, come lo sport.

Così, rispetto ai loro coetanei più grandi, sviluppano una maggiore consapevolezza che, anche senza un vantaggio iniziale, possono raggiungere i loro obiettivi grazie a motivazione, perseveranza e dedizione.

Altre ricerche indicano che gli effetti dell’età relativa non influenzano significativamente la vita delle persone nel lungo termine, poiché questi effetti iniziali vengono mitigati nel corso dello sviluppo da fattori ambientali e genetici, che risultano essere molto più influenti dell’essere leggermente più giovani o meno giovani dei propri coetanei.

Ad esempio, un gruppo di ricercatori finlandesi ha condotto nel 2017 uno studio sui politici nazionali simile a quello di Muller e Page sui senatori e deputati statunitensi, riscontrando un fattore significativo: l’effetto dell’età relativa era presente anche nel parlamento finlandese, dove molti politici erano nati nei primi mesi dell’anno, ma questo valeva solo per gli uomini e non per le donne.

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