Ci si ammala di più di cancro, in alcuni territori delle province di Napoli e Caserta, a causa dell’inquinamento ambientale. Lo ha ribadito la ricerca dell’Iss partita nel 2016 ma il documento firmato dalla Procura di Napoli Nord, sta facendo discutere. La storia, racconta di denunce e manifestazioni cittadine a salvaguardia dell’ambiente, partite già nel 1988.
di Tina Cioffo
La magistratura riesce a dimostrare che i rifiuti fanno ammalare coloro che abitano nelle province di Napoli e Caserta, con un nesso causale tra patologie tumorali ed inquinamento. Un documento che dovrebbe far tremare i polsi ma che arriva come una nota di grande ritardo. Un altro rapporto sulla correlazione tra rischio ambientale da rifiuti, mortalità e malformazioni congenite fu poi, già elaborato nel 2007 e presentato nel 2012 a Succivo da circolo di Legambiente. Anche quello studio registrava il tragico impatto dei rifiuti in Campania, sulla salute umana della sua popolazione. Senza dimenticare che a Casal di Principe di rifiuti interrati se ne è cominciato a parlare già alla fine degli 80, con denunce firmate e consegnate agli organi competenti.
Nel 1988, fu segnalata una discarica dove erano stati trovati bidoni con sostanze tossiche. Ci fu l’attenzione anche della stampa locale e nazionale ma niente poi si mosse. Si diceva: “ci sono cave scavate per la costruzione dei tratti della superstrada”. Un mercato che collegava la camorra, che già si presentava con l’identità di ditte edili, di professionisti del riciclaggio e le industrie della Toscana. A dimostrazione del fatto che il filo diretto tra il clan dei Casalesi e gli imprenditori toscani non è stato inventato oggi, Se in quella regione tanto amata dai letterati, i camorristi vanno ad aprire società per riciclare denaro così come ha dimostrato l’ultima inchiesta del Gico di Firenze e così come ha ricostruito in un articolo degno di approfondimenti Giuseppe Tallino su Cronache di Caserta, l’origine va rintracciata nel passato. Nell’88 a Casal di Principe, ci fu già l’allarme per la salubrità dell’acqua “quelle dell’acquedotto e del sottosuolo”, ma nulla anche qui.
Nel 1989 in un documento indirizzato fra gli altri ai sindaci della ex USL 19, al Prefetto di Caserta, al Ministro per l’Ambiente la sezione casalese del Partito Comunista Italiano scriveva di una discarica abusiva in territorio di Villa di Briano, con presenza di rifiuti probabilmente tossici. In quel documento dell’89 si leggeva: “girando per le nostre strade e piazze è frequente ritrovare cumuli di rifiuti, mentre le strade vicinali e campestri, sono in buona parte, trasformate in discariche rsu, fino al punto che spesso l’immondizia occupa parte della carreggiata”. In un documento datato 14 febbraio del 1990 indirizzato al prefetto di Caserta Nicola Scaglione, all’assessore regionale all’ambiente Giampaolo Iaselli e al presidente della Provincia di Caserta, c’era chi denunciava: “i dubbi sulle tecniche utilizzate per l’effettuazione dei prelievi, i ritardi inspiegabili delle autorità sanitarie nel rendere pubblici i risultati delle analisi, la lentezza delle indagini da parte delle autorità giudiziarie suscitano preoccupazione e malessere. Ma alle preoccupazioni dei cittadini non corrispondono però, adeguati interventi da parte delle pubbliche autorità”.
Il 12 marzo 2003 in località “Difesa Casale”, un cittadino di Casal di Principe denunciava di aver scoperto sul proprio terreno una grossa quantità di materiale sospetto. La Polizia Municipale che presiedeva il sopralluogo scorgeva a circa 100 metri la stessa sostanza sversata in un fossato.Il14 marzo 2003 alle spalle del Campo Sportivo, venne trovato un ammasso della stessa sostanza polverosa. L’A.S.L. avvisava l’Arpac e nulla più. Il 17 marzo 2003, Legambiente nazionale denunciava l’accaduto alla Procura di S. Maria Capua Vetere e al N.O.E di Caserta al comandante dei carabinieri, al comandante dei vigili urbani e al Commissario prefettizio del comune di Casal di Principe. Le testimonianze dissero: “Sembra cenere, è una polvere finissima in vicinanza della quale si avverte mancanza di respiro e senso di nausea. Dal cumulo di questo materiale emergono dei teloni, o forse dei semplici sacchi che venendo versati a terra da un camion si sarebbero sventrati, con scritte straniere (probabilmente tedesche) e qualche numero”.
Le analisi degli Americani nel 2008
I primi rilievi sull’acqua furono eseguiti nel 2008 dal ‘Navy and Marine Corps Public Health Cente’ della Virgina, e parlavano di altissimi livelli di “componenti organiche volatili, bioprodotti presumibilmente derivanti da solventi industriali”. Sostanze che in alcuni casi erano presenti oltre il 50per cento consentito. Si rese necessario l’intervento dell’Istituto superiore per la prevenzione dei rischi ambientali (ISPRA) sollecitato dai prefetti di Caserta e Napoli. Durante una prima fase dello studio denominato “1500-foot Step-Out investigation area”, condotto dal ‘Naples Public Health Evaluation” (PHE) a tutela del personale militare e civile di stanza presso la base di Napoli, fu trovata la tetracloroetilene o PCE. Una sostanza chimica prodotta dall’uomo, ampiamente utilizzata per il lavaggio a secco e per lo sgrassamento dei metalli, che risultò presente sia in campioni di acqua del rubinetto che in campioni di gas del sottosuolo.
Nel 2010 i ricercatori del Cnr e dell’Arpa Campania in uno studio avviato nel 2008 rilevano anomalie termiche del suolo. Il monitoraggio avvenne tramite una comparazione tra ortofoto del ’94, del 2000 e del 2006 e dati Mivis (quelli che consentono di registrare temperature termiche sul terreno) del 2008 e del 2004 raccolti dalla Regione Campania e di proprietà dell’Arma dei Carabinieri, nell’ambito del programma operativo nazionale per la sicurezza e lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. “Difficile risalire alle cause perché lo studio non è supportato da osservazioni in situ o dati raccolti sul campo», affermava il gruppo di lavoro nella relazione tecnica e suggeriva «di partire da analisi delle immagini a alta risoluzione spaziale per rilevare abbandoni di materiale oppure per lo studio delle cave, delle discariche e aree adibite a discariche illegali”.
Castel Volturno, in quello studio ricorreva sette volte. Le coordinate riportavano in tre siti lungo la Strada statale 7 quater Variante. In uno di questi c’era assenza di copertura vegetale. In un altro si notava, dall’alto, crescita anomala o scarsa vegetazione oltre, ovviamente, a un’anomalia termica al suolo. Quest’ultimo, in base alle coordinate Gps fornite, si trovava nei pressi del Golf Club e della Riserva della Forestale. Altri tre erano in via Potenza, zona agricola, via Carducci, via Modica. Uno era localizzato ancora lungo Statale 7 Bis, diramazione 22. I ricercatori comparando i dati dal ’94 al 2006, rilevavano una riduzione del laghetto presente, fino a una completa scomparsa nel 2008. A Villa Literno sulla Statale 7 Bis in zona agricola, lo studio segnalava le coordinate di un sito e, nello stesso territorio comunale, ma in via Santa Maria a Cubito, sottolineando come l’area avesse subito trasformazioni tra il ’94 e il 2000 nel senso di un rialzamento del terreno che presentava scarsa vegetazione e crescita non omogenea. Ancora a Villa Literno, Statale 7 Bis, si rilevava come in un determinato punto identificato con coordinate Gps, nel corso del tempo, ci fossero stati cambiamenti nel tipo di vegetazione concomitanti a una temperatura anomala del suolo. Lungo la stessa direttrice ad un’anomalia di 44 gradi al suolo era segnalata la concomitante assenza di copertura vegetale.
A Frignano in un luogo identificabile solo dalle coordinate Gps, furono rilevate temperature tra i 32 e i 42 gradi al suolo con basso valore di copertura vegetale. Nel territorio di San Tammaro lo studio evidenziava un’anomalia di 51 gradi al suolo e assenza di vegetazione in sito identificato da coordinate ma non identificabile dalla toponomastica. A Santa Maria la Fossa c’era, invece, un terreno in via Vaticale che presentava un’anomalia termica di 54 gradi. A Santa Maria Capua Vetere in zona agricola identificabile con Gps ma non censita dalla toponomastica i 45 gradi al suolo erano accompagnati da una colorazione più chiara del terreno rispetto all’area circostante. A Succivo il sito si trovava lungo la Provinciale 335: era segnalato un’anomalia termica di 59 gradi.
Nel settembre 2013 in Via Sondrio a Casal di Principe. Furono fatti nove carotaggi su tre diversi terreni, due di proprietà di un’agenzia immobiliare ed uno della Curia che negli anni Novanta lo aveva dato in gestione ad un privato. In tutti i nove punti si arrivò a 20metri di profondità. Il terreno repertato fu analizzato dall’Arpac. O almeno, si spera ma cosa sia emerso non è stato mai rivelato. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Renato Natale, ha chiesto più volte di sapere cosa ci fosse ma nessuno ha risposto. “Abbiamo chiesto di recente di sapere quali fosse le risultanze perchè su quei terreni vorremmo ubicare il mercato settimanale, ma se non ci dicono il risultato delle analisi, abbiamo le mani legate“, spiega il consigliere comunale Pasquale Zoppi, delegato ai beni confiscati alla camorra. Certamente materiale da risulta e rifiuti soliti urbani così come fanghi industriali ma rispetto a quali sostanze contenesse il terreno nessun dato è emerso. Michele Buonomo, allora presidente Legambiente Campania, disse: ‘Una Campania disseminata di bombe inquinanti dove c’è chi paga con la vita il prezzo di queste attività criminali e chi si si arricchisce, a cominciare dalla camorra, ma non solo. Davanti a questo ecocidio, davanti a quell’ inferno di pattume siamo all’anno zero e di bonifiche nemmeno l’ombra. E’ ora di decidere da che parte stare: la bonifica è prioritaria, primo punto non piu’ rinviabile dell’agenda politica dove senza piu’ alibi devono essere individuati tempi, risorse e modalità d’intervento per le attività di messa in sicurezza e bonifica”. Il 28 settembre 2013, i Comitati Terre dei Fuochi e Veleni organizzarono una manifestazione a Casal di Principe. Niente bandiere, niente sigle, niente comizi ma la volontà di richiamare in maniera netta, decisa e responsabile l’attenzione di tutte le istituzioni a quello che già si sapeva, ma che ora è diventato terribilmente palese.
A gennaio 2014, la ruspa tornò in via Kruscev a Villa di Briano, lungo la via che porta al Santuario mariano millenario. Ci furono tre settimane di scavi, registrando la presenza di grandi pneumatici, scarti di costruzioni, bidoni di vernici ed oli usati per lo più da officine, detriti, un ammasso di lamiere simili ad un’automobile compattata. Il terreno servì per interrare rifiuti e per sopraelevare il tratto di superstrada della Nola- Villa Literno. Così come è accaduto per i due siti di interesse nazionale di Villa Literno, Masseria Annunziata e Cuponi Sagliano di 10 mila metri quadrati uno e di 21 mila metri l’altro. Ma non sono le uniche aree, altre sono in località Iazzone, Vatecorvo, Sogliutelle e Giardino, con il ritrovamento, tra il 2008 ed il 2009 , di piombo, cromo, vanadio, zinco, oltre all’arsenico e al berillio oltre i limiti consentiti. La maggiore concentrazione di piombo fu trovata a Sogliutelle da sempre pantano e zona di caccia. Le indagini del Commissario di Governo per la bonifica e tutela delle acque della Campania, furono svolte nell’ambito del piano di caratterizzazione del litorale domitio flegreo e dell’agro aversano.
Poi arriva giugno 2015 a Masseria Simeone entroterra di Casal di Principe. Il fondo apparteneva agli eredi di una famiglia di medici ginecologi, i Del Genio di San Cipriano D’Aversa, ma fino all’inizio degli scavi era un terreno abbandonato a se stesso. Terra di nessuno prima e terra di nessuno dopo. A guidare la Forestale incaricata dai pm Giovanni Conzo e Luigi Landolfi della DDA di Napoli, furono le dichiarazioni dell’ex camorrista Carmine Schiavone. Poco prima di morire aveva voluto mappare nuovamente il territorio di Casal di Principe, San Cipriano D’Aversa, Casapesenna, Villa Literno e Villa di Briano indicando i punti dove la camorra aveva interrato i rifiuti. Nel sito Masseria Simeone furono trovati fanghi industriali e rifiuti ospedalieri con lastre di radiografie bruciate. Plastica di sacche praticamente in ogni punto, come se fossero state ammassate e buttate giù. Rifiuti cimiteriali, pneumatici e materiali da risulta. E tutto già ad una profondità di poco più di quatto metri.
A giugno 2016, si scavò in via del Pozzo, dietro lo stadio di Casal di Principe, già visibile dalla superstrada Nola – Villa Literno. Gli scavi furono coordinati dall’allora pm Catello Maresca della DDA di Napoli ed eseguiti dalla Forestale e dai Vigili del fuoco. Furono fanghi industriali e probabilmente anche scarti di concerie ma la vera natura di quello che è emerso è ancora un mistero. Furono prelevati campioni di terreno e materiale dall’Arpac ma i risultati di quelle analisi non sono mai stati pubblicati né sono mai partite le bonifiche. Le aree sono recintate da rete rossa, in parte distrutta da vento e pioggia.
Nel mentre, i Medici per l’ambiente denunciavano l’incidenza dei rifiuti sulle malattie e sulle morti per cancro. Un olocausto ambientale pianto da interi territori ma nel 2015, l’allora ministro alla Salute, Beatrice Lorenzin negando la verità e offendendo le morti innocenti per i danni ambientali e la mancata tutela ricevuta dallo Stato, attribuiva l’alto numero di tumori in Campania alle abitudini sbagliate dei cittadini. E non all’inquinamento criminale del territorio. “Oggi dopo 10 anni di indagini epidemiologiche, la magistratura denuncia l’inquinamento come crimine umano. Il mondo sanitario internazionale, soprattutto italiano, deve comprendere che con il degrado e l’inquinamento ambientale, il cancro con certezza distrugge la salute di migliaia di uomini e donne incolpevoli. Il gran numero di tumori giovanili e quelli al di sotto dei 60 anni dimostrano quante sofferenze creiamo chiudendo gli occhi davanti a discariche di rifiuti, polveri industriali e da combustione, fanghi tossici spalmati sui terreni insieme a pesticidi e fitofarmaci, falde acquifere malsane, ma soprattutto davanti alla miserevole “ignavia e abulia” amministrativa e politica”, ha detto ancora, Gaetano Rivezzi, presidente di Medici per l’Ambiente della Campania. Ed ora quanto tempo ancora si dovrà aspettare, prima che il nesso dimostrato dalla magistratura, decisamente ed indubbiamente in ritardo, potrà tramutarsi in interventi concreti di bonifica?
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