In occasione della Giornata Internazionale dell’Epilessia del 14 febbraio, uno studio per la gestione pratica delle crisi epilettiche aiuta a capire quale può essere il miglior comportamento da tenere. La ricerca è sostenuta anche dalla cooperativa Un Fiore per la vita che gestisce la Fattoria Fuori di Zucca ad Aversa nel parco dell’ex Maddalena. L’obiettivo è rispondere ad una grande sfida educativa, umana e di inclusione.
di Tina Cioffo– Fino al Medioevo le epilessie erano chiamate anche «morbus sacer» attribuendo loro una posizione per l’inspiegabilità e l’imprevedibilità delle sue manifestazioni che per molto tempo contribuirono a ritenerla causata da forze maligne della natura o da divinità avverse. Lo stesso Ippocrate intitolò il suo trattato del V secolo a.c. sull’Epilessia ‘La Malattia Sacra’. L’epilessia è invece una tra le più frequenti patologie neurologiche e può esordire a tutte le età della vita ma i maggiori picchi d’incidenza si hanno nei bambini e negli anziani. Interessa circa 1 persona su 100 e si stima che in Italia ci siano tra le 500mila e 600mila persone affette mentre nel mondo ci sarebbero circa 60 milioni di persone affette. In occasione della Giornata Internazionale dell’Epilessia del 14 febbraio, proviamo a capirne di più con la dottoressa Mariana Berardinetti pedagogista e assistente sociale, autrice con la collaborazione di Pasquale Tomaiuolo Biotecnologo dell’Università di Torino e della neuropsichiatra Cristiana Lalli, di un opuscolo informativo per la sensibilizzazione sull’epilessia intitolato “Epilessia: Da vicino nessuno è disabile gestione pratica delle crisi epilettiche in ambito scolastico e familiare”. Uno studio che è insieme una guida pratica delle crisi epilettiche in ambito sociale. Sebbene Giulio Cesare, Napoleone, Alessandro Magno, Dostoevskij, Van Gogh, Paganini, Tasso, Petrarca, Flaubert, Leopardi soffrissero di epilessia senza che questo inficiasse la loro capacità intellettiva, attorno alla malattia che per alcuni studiosi è l’altra faccia dell’autismo c’è ancora un clima di sospetto. “La causa scatenante dell’epilessia – spiega Berardinetti- non sempre è possibile comprenderla. Sappiamo per certo solo che il protagonista è il cervello con la sua corteccia cerebrale dove un fascio di fibre nervose perde la capacità di essere inibito e acquista un’eccessiva attività eccitatoria, provocando un cortocircuito vero e proprio. Questo cortocircuito è la crisi epilettica che si manifesta fino a che questo circuito “difettoso” non si scarica totalmente. L’effetto della scarica incontrollata potrà essere locale o generale ma in sostanza manda in “tilt” il sistema di controllo che il cervello ha sulle nostre funzioni cognitive, motorie e sensitive”. Soltanto nel XIX secolo, quando la neurologia è emersa come disciplina autonoma, distinguendosi dalla psichiatria, l’epilessia è stata riconosciuta come una malattia di natura esclusivamente neurologica. “La bolla di paura che accerchia questa malattia– continua Berardinetti- non si è però completamente dissolta contribuendo ad alimentare anche la discriminazione che a sua volta si nutre dell’ignoranza sulle reali possibilità di guarigione e sui reali effetti invalidanti della malattia, che sono meno gravi di quanto si creda comunemente”. L’opuscolo della Berardinetti con il chiaro obiettivo di aiutare a migliore la qualità della vita di un bambino epilettico si rivolge a tutti gli insegnanti, gli Istituti scolastici e a tutti coloro che sono impegnati nell’educazione dei ragazzi. A sostenerlo anche nella divulgazione una rete di associazioni fra cui anche la cooperativa sociale Un Fiore per la Vita che negli spazi della fattoria sociale Fuori di Zucca ad Aversa nell’ex parco della Maddalena porta avanti il progetto Fattoria della Salute contro l’isolamento dei soggetti con sindrome dello spettro autistico anche a basso funzionamento o con disturbi generalizzati dello sviluppo, persone con disaggio psichico e comorbilità psichiatrica. Le possibili discriminazioni in ambito scolastico e comunitario nascono dalla paura di non saper cosa fare durante una crisi epilettica al contrario, se l’epilettico si sente compreso e chi assiste alla crisi è messo in condizione di decodificare la successione degli istanti si disinnescano paura e sospetto. L’epilessia può comportare un rischio evolutivo non solo in termini cognitivi ma anche emotivi-comportamentali. La paura di avere una crisi può tradursi infatti, soprattutto in età evolutiva, in un’ansia di separazione mentre la paura dell’imbarazzo di avere una crisi in pubblico può anche trasformarsi in una variante di fobia sociale. Per la Berardinetti, che ha conosciuto la disabilità fin da piccola visto che la sua compagna di banco era affetta da autismo, “la gestione delle crisi epilettiche in ambito infantile è fondamentale e quel che è necessario è creare una rete che sappia assumere comportamenti positivi nella relazione educativa e così contrastare lo stigma che la società assegna all’epilessia”. “La crisi epilettica – prosegue la pedagogista- si conclude quasi sempre spontaneamente in un paio di minuti lasciando una percezione di stanchezza, stordimento e confusione mentale sia nel soggetto coinvolto direttamente e sia nelle persone che assistono alla crisi”. Fare allora in modo che gli uni e gli altri sappiano gestire il momento della crisi epilettica è certamente un impegno non rinviabile.