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Categories: Società

Social e privacy, la cattività ai tempi del Coronavirus

Dall’utilizzo spasmodico dei social alla privacy, lo ‘strano’ tempo del Coronavirus dove si è colpevoli perfino di porsi domande

La luce in fondo al tunnel comincia ad esserci. Il sì al cibo a domicilio fa vedere meno lontano il ritorno alla normalità e questo di certo incoraggia. Anche i campani potranno finalmente ordinare la tanto desiderata pizza a partire dalla prossima settimana, facendo quello a cui non hanno mai rinunciato i nostri connazionali in tante altre regioni, alcune delle quali certamente più provate dal Coronavirus rispetto alla nostra. E chissà che, con la riapertura delle pizzerie ai fini della consegna a domicilio, sui social non diventino meno frequenti i post del sabato sera, in cui, tra ripieni di scarole e marinara, non è mai mancato un larghissimo ventaglio di proposte caserecce.

I social finestra sull’ intimità e l’ invocazione della privacy

Meno entusiasmo generale, c’è da dirlo, ha suscitato la riapertura delle librerie, già storicamente non particolarmente attrattive. Non lo erano prima, figurarsi adesso con l’uso dei social che vengono ritenuti il miglior antidoto a ogni forma di solitudine. Per fortuna che esistono, gli abbracci virtuali sono sempre meglio dell’isolamento totale. In queste settimane di pandemia il loro utilizzo è schizzato e quanti già erano abituati a pubblicare il diario quotidiano delle proprie attività, si sono particolarmente sbizzarriti. Dal cibo al giardinaggio, dai divani alla condivisione costante del proprio stato d’animo, è stato possibile entrare nelle case di tanti. Ma anche nel cuore e nella testa di tanti! Fa sorridere però, che fra le persone che hanno aperto le porte, mettendo a nudo paure ed angosce o condividendo momenti di intimità familiare, ci siano pure quelle che invocano la tutela della privacy. Sono fra quelle che gridano allo scandalo al sol pensiero di avere un’app che contribuisca a garantire un’adeguata fase di convivenza con il virus. E’ un tempo strano, in cui in nome della salute si può rinunciare al diritto costituzionale della libertà fisica di fare una passeggiata da soli sulla cima di una montagna o di andare al lavoro, ma non alla privacy. Sono gli stessi che sono già consapevolmente super tracciati e che non battono ciglio.

Clima di cattività: tutti contro tutti

Per fortuna, negli ultimi giorni, il ruolo di denuncia di assembramenti o di trasgressione delle norme, che pure i social avevano assunto, si è andato affievolendo. Prima era tutto un “Restate a casa!”, “Vergogna, fila alle Poste”, “Scandalo, troppa gente in giro!”.

Il clima di odio per l’altro è diventato insostenibile in alcune situazioni: c’è stato anche chi, sui social, pubblicava l’emoticon delle mani giunte in segno di preghiera per commentare i post dei pochi contagiati che avevano deciso di svelare la propria identità, salvo poi trattarne i familiari come dei pericolosi untori. Contraddizioni fra virtuale e reale.Sarà la stanchezza o una nuova presa di coscienza, eppure qualcosa sembra cambiato. I toni si sono smorzati.

In tempo di pandemia, ‘vietato’ anche farsi domande

Dove sono finiti quelli del “Restate a casa, incoscienti, irresponsabili, criminali?”. Adesso tutti vogliono uscire, perché non ce la fanno più, perché la fame è dietro l’angolo, perché tanto con il virus si deve convivere, no? Ma vuoi vedere che quegli sciagurati che da tempo si chiedevano quando dovesse cominciare l’attuazione di un piano serio e concreto, a livello nazionale e regionale, per la ripresa della normalità, forse non erano proprio degli insensibili?. “Ma come? Ci sono le file di morti e voi pensate ad uscire?”.

Ecco qua, quelli ‘cinici’ e ‘cattivi’, forse rivendicavano solo il diritto di avere risposte, non sull’imprevedibile, ma sulle certezze e certa era la ripresa della quotidianità, prima o poi! In tempi di Covid si é diventati colpevoli anche per il fatto di porsi domande! Proibito mettere a confronto l’andamento del contagio con quello di Paesi in cui il lockdown è stato meno rigido? Sbagliato concentrarsi sulle responsabilità e non sulle uscite mediatiche, chiedere di capire chi decide senza essere sballottati di qua e di là? Temere le morti da recessione economica al pari di quelle da pandemia?

La storiella del #restateacasa è andata bene per un po’, ma adesso, anche per i “puntatori di dito” di professione, che hanno scelto la guerra dell’uno contro l’altro, alimentando un clima di cattività difficile da dimenticare, non regge più!

Alessandra Tommasino

redazione

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