Collaboratori di giustizia: I “repezzati’ amici di Zagaria

di Tina Cioffo

Sono stati accusati di concorso esterno in associazione mafiosa e da ieri sono ai domiciliari perché accusati da sette collaboratori di giustizia. Uno di questi è Attilio Pellegrino che da cassiere del cartello camorristico di Michele Zagaria ha, per un periodo gestito, i rapporti con gli imprenditori.

I Diana amici di Zagaria

Anche se Pellegrino si riferisce ai Diana, senza mai specificarne i nomi e chiamandoli con l’alias di ‘repezzati’, ne parla come imprenditori amici di Michele Zagaria, del suo cerchio magico Fra loro ci sarebbe stato, secondo il collaboratore, un rapporto privilegiato visto che – a suo dire- erano trattati con un certo riguardo dal capoclan e che quindi non erano costretti ad un normale pagamento estorsivo. Michele Zagaria gli chiedeva del denaro solo quando ne aveva bisogno. Pellegrino ha raccontato in particolare di due occasioni nelle quali avrebbe ricevuto per conto dei Diana, la somma di 40mila euro in due tranche e di 30mila in un’unica soluzione nell’agosto del 2003. A consegnargli le somme di denaro sarebbero stati i fratelli Luigi e Francesco Della Corte, entrambi di Villa di Briano figli dell’ex sindaco brianese Giovanni Della Corte. I Della Corte, dipendenti dei Diana, avrebbero gestito i rapporti con Pellegrino sapendo che il denaro sarebbe poi andato nelle casse della camorra. Le buste dei soldi, secondo la ricostruzione di Pellegrino, venivano poi consegnate a Giovanni Garofalo “in quanto questi era all’epoca una persona al di sopra di ogni sospetto e aveva rapporti periodici e diretti con Michele Zagaria cui i soldi del ‘repezzato’ dovevano direttamente andare”.

La legalità da costruire

A casa di Giovanni Garofalo c’era anche uno dei citofoni utilizzati per comunicare con Michele Zagaria e da questi con i suoi sodali. In un’occasione in particolare, stando alla ricostruzione del Pellegrino, quel citofono venne usato per riferire al capoclan la richiesta arrivata dai ‘repezzati’. A dire del collaboratore di giustizia, nel 2010 e cioè dopo aver trascorso sei anni in carcere, ebbe la visita di Luigi Della Corte incaricato dai sui datori di lavoro, ovvero i Diana, di chiedere “di sacrificare qualcuno”. “Mi disse – riferisce Pellegrino- che il ‘repezzato’ mandava a dire a noi del clan Zagaria che aveva bisogno di presentarsi alle forze dell’ordine come un imprenditore modello ed espressione della legalità e quindi doveva denunciare qualcuno”. Una richiesta shock che venne immediatamente riferita via citofono a Michele Zagaria ma che non ebbe seguito perché il camorrista capo, oggi ergastolano, si sarebbe opposto. Doveva essere trovata un’altra soluzione.

La parvenza di imprenditori legali sarebbe poi arrivata con delle assunzioni mirate, “vale a dire persone vittime o parenti di vittime della camorra così da presentarsi come un paladino della legalità”, dice Pellegrino. Il riferimento va senz’altro a Massimiliano Noviello, figlio dell’imprenditore Domenico Noviello ucciso dalla camorra, gruppo di fuoco guidato da Giuseppe Setola dell’area bidognettiana, il 16 maggio del 2008.

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