di Tina Cioffo-La figlia di una vittima innocente: “Soldi all’ex terrorista ma noi senza riconoscimento”. Il padre è vittima innocente della camorra e la figlia Eufrasia si batte da anni, insieme al fratello, per la sua memoria. Il caso della Saraceni ha risvegliato la ferita.
“Non capisco davvero quale sia la logica dello Stato e perché sia ritenuto un diritto innegabile dare un contributo statale ad una ex terrorista mentre viene invece negato il riconoscimento di innocenza a mio padre che della violenza è invece una vittima“. A porsi la domanda è Eufrasia Coviello, figlia di Paolo, ucciso dalla camorra il 26 febbraio del 1992, per uno scambio di persona. Dopo la notizia del reddito di cittadinanza all’ex Br Federica Saraceni, condannata a 21 anni e mezzo di reclusione per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona, avvenuto a Roma nel 1999, la Coviello si chiede come sia possibile che tutto questo avvenga.
Caso Saraceni
Saraceni, riceve dallo Stato un sussidio di 623 euro che per l’Inps e stando alle verifiche avviate dai ministeri della Giustizia e del Lavoro, le spetta per legge. Fatte le dovute differenze rispetto ai fatti e anche rispetto all’elargizione che la Saraceni riceve, resta comunque lo sconcerto di una figlia di un innocente, così come riconosciuto dalla sentenza, convinta che esistano due pesi e due misure. Paolo Coviello, quando fu ucciso viaggiava a bordo di una Clio nera, simile a quella che avrebbe dovuto guidare in quel momento il reale destinatario del commando di fuoco. Chi doveva dare il segnale accendendo un accendino lo fece troppo in fretta. Questione di secondi e Paolo Coviello morì insieme ad un’altra vittima innocente, Pasquale Pagano, senza alcuna colpa. Paolo Coviello lasciò orfani senza alcuna colpa, Giuseppe che studiava Architettura ma che ha poi dovette abbandonare gli studi per sostenere anche dal punto di vista economico la sua famiglia ed Eufrasia che aveva 22 anni. La vedova Coviello, è morta nel 2004 senza mai aver saputo perché e chi gli aveva strappato il marito, lacerandola nelle carni.
Giustizia a metà
La verità si è saputa infatti, dopo 23 anni e grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che venne ascoltato per primo dall’allora pm della Dda di Napoli, Giovanni Conzo poi passato alla Procura di Benevento. Sono anni che la famiglia si batte per il riconoscimento di innocenza di Paolo Coviello ma in altrettanto tempo, le risposte da parte dell’ufficio del Ministero dell’Interno deputato ad esaminare la pratica sono state negative. I figli di Paolo Coviello sono onesti ma hanno avuto la sfortuna di un padre ucciso e di parenti che secondo il Ministero, non hanno rispettato la legge. Il ‘Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati intenzionali violenti’ ha rigettato l’istanza, ritenendo che i figli di Paolo non siano estranei ad ambienti e rapporti delinquenziali perché il marito della sorella del padre deceduto oltre vent’anni fa, fu fermato per gioco d’azzardo.