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Categories: Cronaca

Casapesenna, dopo il sequestro dei beni occupiamoci dei figli

di Tina Cioffo- Ieri il sequestro preventivo di due ville e di un negozio. Tutti di proprietà dei fratelli dell’ex capoclan casapesennese Michele Zagaria. L’elenco è lungo ma bisogna occuparsi dell’educazione riservata a figli e nipoti avviandoli ad una nuova vita.

Da dove viene il denaro?

Dopo i sequestri eseguiti dalla Dia di Napoli coordinata dal pm della Dda partenopea, Maurizio Giordano, resta da chiedersi come fanno a vivere i familiari di Michele Zagaria alias ‘capastorta’, con un fine pena mai. Da dove prendono i soldi, alcuni di loro, per avere la donna delle pulizie tutti i giorni? Nei piccoli paesi come Casapesenna, le notizie di diffondono in fretta ma quando riguardano certi personaggi vengono solo sussurrate e poi taciute. E perché Carmine Zagaria, dopo aver aperto il negozio di abbigliamento a San Marcellino ma al confine con Trentola Ducenta e Casapesenna, si sarebbe interessato di trovare i locali da prendere in affitto per aprire anche un altro negozio, lungo la stessa via, a pochi metri dall’outlet femminile sequestrato? C’entra qualcosa con quell’attività commerciale di Corso Italia, che vende profumi? Domande assolutamente lecite se si vuole capire che tipo di esistenza hanno deciso di vivere gli Zagaria, che per metà sono ancora in carcere come Beatrice, Elvira, Pasquale ed Antonio. Le mogli di questi ultimi Francesca Linetti e Patrizia Martino sono indagate per ricettazione insieme alla cognata Tiziana Piccolo, tutte coinvolte nell’ operazione Nereide del 4 luglio 2017.

Messaggi e segnali senza parlare

Quel provvedimento coinvolse le donne di famiglia ma quello che sorprendeva leggendo le intercettazioni contenute nell’inchiesta della Dia coordinata dalla Dda di Napoli, a carico di una serie di persone, affiliati e fiancheggiatori del cartello camorristico casapesennese, era il compiacimento di Francesca Linetti, moglie di Pasquale Zagaria e cognata di Michele Zagaria, dinanzi alla capacità della figlia 14enne di comprendere senza neppure parlare, i messaggi del padre e dello zio che incontrava in carcere. «Consapevoli delle responsabilità penali a cui la donna poteva essere esposta -scrivevano gli inquirenti- adottavano quindi la strategia di utilizzare le figlie minori degli anni 14 per veicolare le notizie di interesse dell’organizzazione con il fine ultimo di eludere eventuali indagini in corso». La mamma descrive la figlia come una ragazzina «sveglia e scaltra, capace di poter affrontare -con la massima accortezza- qualsiasi argomento in occasione dei colloqui che intratteneva con lo zio Zagaria Michele».

Cosa insegnano ai figli

E qui, per dirla alla vecchia maniera di Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: Quali insegnamenti stanno trasmettendo a figli e nipoti? Nel corso dell’udienza del processo Jambo tenutasi il 22 marzo dello scorso anno, presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il pubblico ministero Maurizio Giordano fece mettere agli atti un verbale redatto nel carcere di Milano Opera, nel quale Michele Zagaria lamentava di non vedere più una ragazza di 14 anni, sua nipote che ritiene come una figlia. Probabilmente, proprio, la stessa ragazza con la quale riusciva a parlare senza problemi. In una delle dell’occasioni intercettate e poi trascritta nell’informativa la ragazzina venne portata in giro, nonostante la febbre. Aveva 40 di febbre ma c’era evidentemente un’altra logica a cui obbedire.

Via dalle famiglie di camorra

E’ una spirale che deve essere spezzata e così come accade per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, anche nel Casertano, si deve pensare ad una nuova vita per quei minori che non hanno alternativa rispetto all’educazione riservata dai familiari. Il tribunale di Reggio Calabria è stato il primo in Italia ad aver intrapreso la strada dell’allontanamento dei figli dai genitori mafiosi. Chiaramente è il Tribunale dei minori a mettere in moto il meccanico dopo aver ricevuto le informazioni necessarie dalle indagini degli inquirenti, ma in alcuni casi allontanarli dalla famiglia d’origine potrebbe essere l’unico modo per salvarli e anche i camorristi capirebbero che esiste un rischio ancora più grosso. Non solo il carcere, che viene messo in conto appena si decide di delinquere, non solo la perdita di case e negozi che si cerca di salvare ricorrendo all’escamotage dell’intestazione fittizia. I figli possono essere persi ed è giusto che si cominci a pensare a questi ragazzi e ragazze prima di ogni altra cosa. La perdita della patria potestà non basta se poi non c’è qualcos’altro che tuteli i bambini.

redazione

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