Come si riutilizzano i beni confiscati, e come si crea quella sostanziale fiducia di reazione nella comunità? Sono alcune delle domande che animano il dibattito internazionale e che hanno portato il giornale francese Le Figaro a volerne sapere di più sul modello di Casal di Principe.
Cresce l’attenzione a livello europeo per il tema del riuso dei beni confiscati alla criminalità organizzata. In Francia, la legge sul riutilizzo è sul tavolo del governo. Il modello italiano che prevede l’obbligatorietà del riutilizzo sociale è preso ad esempio tanto da interessare il mondo dell’informazione francese e portare un inviato de Le Figaro a Casal di Principe per studiare quali e quanti benefici ne vengono. “Siamo fiore all’occhiello del riutilizzo grazie a tutte quelle associazioni e cooperative sociali che giorno dopo giorno lavorano per alimentate lo sviluppo locale. Sono stato fiero di accompagnare la giornalista Valèrie Segond, a bordo di un’auto confiscata e nelle disponibilità del Comune, visitando insieme le nostre realtà di riutilizzo come La Forza del Silenzio, la cioccolateria sociale Dulcis in fundo e Casa don Diana sede del Comitato don Peppe Diana incontrando anche il Consorzio Nco. Abbiamo tante idee da concretizzare, siamo un treno in movimento e non ci fermeremo”, dice Pasquale Zoppi, consigliere delegato ai beni confiscati di Casal di Principe.
Tante le curiosità della reporter d’oltralpe interessata alle finalità sociali che è in grado di restituire il maltolto alla comunità e di creare anche occupazione attraverso il lavoro e le attività delle cooperative. L’assegnazione dei beni confiscati alla società civile e alle comunità locali è richiamata da diversi documenti dell’Unione Europea ma è vero anche che la promozione del riuso sociale appare abbastanza timida, differentemente invece da quanto avviene in Italia grazie alla legge 109/96. Quasi tutte le normative prediligono un sistema di riutilizzo indiretto che permette di investire i fondi ricavati dalla vendita dei beni in attività a scopo sociale, trasferendoli a ONG o a istituzioni statali o ad autorità locali prevedendo un vincolo di utilizzo. “Qui crediamo in un riscatto che ci coinvolga in prima persona, per sovvertire le logiche criminali non possiamo credere nella logica del profitto che non tiene conto del territorio ed il suo destino. A Casal di Principe, il riutilizzo sociale è una priorità, è la risposta più alta nella lotta alla camorra in grado di rafforzare la comunità stessa con solidarietà, sviluppo, uguaglianza e dunque legalità”, ha detto il sindaco Renato Natale a lungo intervistato prima negli uffici municipali di via Matteotti e poi nella sede del Comitato don Peppe Diana.
“In Francia non abbiamo ancora le idee chiare su questo ed è centrale per il nostro dibattito nazionale ma anche per quello europeo capire fino in fondo la qualità della legge italiana 109/96 e le sue applicazioni”, ha spiegato Valérie Segond, impressionata dalla progettazione in atto e dai volti di vittime innocenti, riuniti dalla mostra Non Invano a Casa don Diana. Non è la prima volta che la Francia si interessa di Casal di Principe. Nel 2019 a farvi visita anche l’associazione Crim’Halt che tratta i temi della lotta alle mafie e alla corruzione con sede a Parigi. Nello stesso anno, sempre a Parigi fece molto discutere l’apertura del ristorante in via Daru della figlia di Totò Riina, ex capo della mafia siciliana condannato all’ergastolo per 26 volte, accusato dell’omicidio di 200 persone, molti dei quali innocenti. Tina Cioffo