In aula, durante un processo al clan dei Casalesi, l’avvocato di un capo della camorra lesse una lettera contro Capacchione e Saviano, furono tirati in ballo anche Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone. Parole che suonarono come minacce ed oggi il Tribunale di Roma, le ha riconosciute con l’aggravante del metodo mafioso.
Condannato un anno e sei mesi il boss del clan di camorra dei ‘Casalesi’, Francesco Bidognetti, e l’avvocato Michele Santonastaso che ha avuto un anno e due mesi di pena. E’ stato invece assolto l’altro legale sotto accusa, Carmine D’Aniello. Questa la sentenza del Tribunale di Roma, per le minacce rivolte in aula durante il processo di appello ‘Spartacus’ a Napoli, nel 2008. L’editto dei malavitosi venne rivolto contro la giornalista Rosaria Capacchione e lo scrittore Roberto Saviano. L’accusa riconosciuta dai giudici è minacce aggravate dal metodo mafioso. Il pubblico ministero Alberto Galanti davanti ai giudici della IV sezione del tribunale di Roma aveva chiesto un anno e sei mesi di reclusione per tutti gli imputati. Parte civile, la Federazione nazionale della Stampa italiana, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei giornalisti della Campania. Quattro anni fa i giudici della corte d’Appello di Napoli si dichiararono incompetenti ed il processo fu trasferito a Roma. Quattro anni e finalmente, la conclusione è stata scritta. Le invettive contro Capacchione e Saviano, entrambi costretti a vivere sotto scorta, erano state lanciate solo perchè i due avevano fatto esattamente quel che comanda la professione di cronisti: non fare sconti e raccontare i fatti. La cronaca che è spina nel fianco non ha bisogno di chiedere permessi, obbedisce solo alla verità e a se stessa. La sentenza che riconosce la colpa di quel proclama pronunciato in un’aula di tribunale, è una rivincita per tutti quelli che ancora ci credono. “E’ stato un processo molto delicato che ha raccontato come un clan ha cercato di intimidire chi scriveva del suo potere”, ha commentato Saviano che ha aggiunto: “Una decisione quella di oggi che mi dà speranza, ma che non mi restituirà 13 anni di dibattimento ed i 15 anni di vita sotto scorta. Vivere sotto protezione è significato perdere la propria vita. Sono contento anche per Rosaria, vittima di anni di ferocissimi e sottoposta ad attacchi da tutte le parti”. “Speriamo – ha detto il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti– che con questa sentenza arrivi il messaggio che non si può impunemente aggredire chi fa informazione. Noi saremo sempre al fianco dei cronisti, anche quelli meno noti, precari, o che non hanno la forza di denunciare. Una sentenza che ci impegna ad essere sempre più presenti”. Tina Cioffo
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