E’’ la storia Francesco Paolo, testimoni di giustizia che lamenta disattenzione dello Stato e che è uscito dal programma di protezione.
Francesco Paolo a Mondragone produceva mozzarella di bufala. La sua azienda si chiamava “Antico caseificio dei Mazzoni”. Nel 2001, il clan La Torre, i Chiuovi, gli chiesero un ‘pizzo’ di 200milioni. La richiesta arrivò telefonicamente e alla chiamata dei camorristi rispose la moglie. “Andai dai Carabinieri di Mondragone e denunciai tutto”, dice Paolo. La denuncia portò all’arresto in flagranza di reato nel caseificio, di Michele Persechino stretto collaboratore del boss Augusto la Torre, per conto del quale raccoglieva le tangenti dagli imprenditori del luogo. L’arresto venne eseguito sotto il coordinamento del magistrato Luigi Landolfi e successivamente passato al giudice Raffaele Cantone, allora alla Dda di Napoli.
La ‘visita’ di luglio
Francesco Paolo è già sfuggito ad un progetto di morte, quando i carabinieri bloccarono un gruppo di affiliati alla camorra muniti di molotov, mitra e bombe. A luglio due uomini, hanno fatto visita alla sua azienda dicendosi interessati ai formaggi. La visita di quelle due persone alle 7 del mattino fece scattare un allarme nella testa di Francesco Paolo che informò subito il servizio territoriale. I due uomini erano due pregiudicati di Mondragone, proprio il Comune dal quale il testimone è dovuto scappare. «E’ chiaramente un avvertimento. Mi hanno voluto far sapere che sanno dove mi trovo ma a nessuno pare interessi. Ho chiesto una telecamera di videosorveglianza perché sono preoccupato e da luglio ad oggi non ho ricevuto neppure una risposta. Cosa aspettano che mi accade qualcosa e per dire “era uscito dal programma”?».
Perché si esce dal programma di protezione
E’ stato nel programma di protezione dal 2001 al 2003 ma poi ha deciso «di vivere – dice- senza chiedere permesso e senza più credere alla favola dell’assistenza dello Stato». «Era impossibile andare avanti. Il sistema di protezione si nasconde dietro una burocrazia ossessiva ma è totalmente inefficiente», dice Paolo, raccontando la vicenda che lo ha visto coinvolto e che ancora continua. «Prima di andare dal medico dovevamo fare richiesta ma per risponderci ci impiegavano giorni, facendoci sentire in gabbia e completamente abbandonati», racconta Francesco Paolo. «Quando ci hanno portato via da Mondragone ci hanno assicurato assistenza e protezione ma nel giro di 40giorni nel mio paese di origine già sapevano dove mi avevano portato. Doveva essere una vita in incognita ed invece è stato un inferno di sospetti». Dal Comune di Mondragone gli arrivò il sollecito di pagamento di una tassa sulle acque reflue. Ora vive in Umbria, con tutta la famiglia dove curano un piccolo allevamento di bestiame per la produzione di prodotti caseari.
Il testimone di giustizia va sempre protetto
Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, commentando l’omicidio di Bruzzese ucciso a Pesaro, ha detto: «Le persone a rischio che hanno dato una collaborazione allo Stato, hanno esposto i loro familiari, non possono essere dimenticate dallo Stato. Anche se la vittima aveva chiesto di uscire dal programma di protezione, la sicurezza va sempre garantita con le misure ordinarie perché sono soggetti sempre a rischio». «Nei fatti siamo dei numeri, serviamo solo il tempo della testimonianza e poi via come carta straccia. Nessuno si interessa a noi e nessuno si chiede se possiamo vivere, come viviamo e se riusciamo ancora a farlo. Ci sono delle leggi ma è chiaro che c’è molto che non funziona. Forse conviene che la figura del testimone di giustizia non esista, altrimenti proprio non riesco a spiegarmi per quale motivo ci viene riservato un trattamento del genere», denuncia Paolo.
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