di Fabio Mencocco
Gli arresti degli imprenditori anticamorra, Antonio e Nicola Diana, oltre allo zio Armando, titolari dell’aziende Erreplast di Gricignano d’Aversa, eseguiti dalla squadra mobile di Caserta, su ordine del Gip del Tribunale di Napoli, ha alzato un polverone sull’attività di una famiglia che si era spesa anche per il sociale attraverso la Fondazione Mario Diana Onlus. Eppure nelle 66 pagine di ordinanza ed attraverso le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, si parla dei tre come imprenditori facenti parte del cosiddetto ‘cerchio magico’ di Michele Zagaria.
I Diana vittime di estorsione
Nell’ordinanza, redatta in seguito alle indagini di procura e squadra mobile, si fa un riferimento particolare ad una vicenda: quella del febbraio del 2016 quando Nicola Diana, si è recato spontaneamente alle autorità giudiziarie per fare delle dichiarazioni. In quel contesto Diana ha illustrato l’attività e la struttura societaria di cui facevano parte lui, il fratello Antonio e lo zio Armando, “ostentando il loro impegno nella legalità”, ma nello stesso tempo ha anche ammesso di aver “pagato somme a Michele Zagaria in quanto vittime di estorsione“.
Soldi in cambio di protezione
Parole quelle di Nicola Diana che vanno in contrasto con le affermazioni di uno dei collaboratori di giustizia, Massimiliano Caterino detto il mastrone, che sono state determinanti per la misura della custodia cautelare ai tre imprenditori. E’ lo stesso Caterino, infatti, a raccontare ai magistrati come la “famiglia Diana da sempre è stata legatissima con la famiglia Zagaria”. I rapporti con Michele Zagaria sarebbero stati intrattenuti anche dai fratelli Antonio e Nicola e dallo zio Armando. Era proprio Massimiliano Caterino il delegato del clan che a fine anni ’90 si recava “presso lo stabilimento di Gricignano d’Aversa, tre volte all’anno a ritirare i soldi che i Diana versavano per Michele Zagaria”. Si parla di cifre che si aggirano intorno ai 15 mila euro, mentre prima dell’introduzione della moneta unica, sempre secondo il collaboratore, i fratelli Diana versavano tra i 20 ed i 30 milioni di lire. Questi soldi venivano pagati per avere protezione dal clan dei casalesi, ma anche per avere una sorta di egemonia imprenditoriale sul territorio di competenza del clan.
Gli imprenditori anticamorra ed il cerchio magico di Zagaria
Caterino, nell’ordinanza, fa sapere che il rapporto tra la famiglia Zagaria, ed in particolare con l’ex boss Michele, era così stretto e consolidato che i tre imprenditori si potevano definire parte del cosiddetto ‘cerchio magico’ di Zagaria. Ovvero “imprenditori per i quali lo stesso capo clan avrebbe anche potuto scatenare una guerra”. Con questi imprenditori Zagaria aveva un rapporto particolare, tanto da potersi considerare, secondo quanto riferito dal pentito, come un “socio delle loro imprese, non nel senso che gli conferiva denaro ma poteva mettere a disposizione la propria forza di intimidazione in cambio di somme di denaro“.
I favori al clan dei casalesi
La libertà di agire sul territorio e la protezione non si pagava solo con il versamento trimestrale della quota, ma anche con favori riservati al clan, come ad esempio quello dei cambio assegni. In pratica, secondo quanto riferito da Caterino, i Diana cambiavano assegni del clan in cambio di denaro liquido, titoli di credito che provenivano anche dalle bische controllate dalla criminalità organizzata, come ad “esempio quella allocata presso l’abitazione di Raffaele Capaldo“. Gli assegni “venivano consegnati all’interno dell’azienda di Gricignano, oppure nell’abitazione di Antonio Diana tra Casapesenna e San Marcellino” dice Caterino che fa sapere di aver curato egli stesso questo rapporto dal 2002 in poi, ovvero dopo la sua scarcerazione. Una volta giunto in azienda Caterino diceva agli imprenditori: “Ha detto Michele di fargli la cortesia di cambiarli” poi entro massimo una settimana si ricevevano i soldi liquidi.