Un “colpo di spugna” nel processo nato dall’indagine sulle false verifiche degli appalti all’ospedale di Caserta, che aveva portato all’arresto nel luglio del 2017 dell’ex direttore sanitario del nosocomio, Carmine Iovine, coinvolgendo in totale 36 persone, tra funzionari, dipendenti della struttura e imprenditori.
Il giudice per l’udienza preliminare (Gup) del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Rosa Dello Stritto ha prosciolto i 36 imputati, tra cui Carmine Iovine ex direttore sanitario del nosocomio, dopo aver accolto l’impostazione di quasi tutti i difensori degli imputati (Dezio Ferraro, Mauro Iodice, Vittorio Giaquinto, Giuseppe Stellato, Bernardino Lombardi, Raffaele Costanzo) che lamentavano l’inutilizzabilità delle intercettazioni e aver bocciato invece la ricostruzione della Procura di Santa Maria Capua Vetere. In aula il pm Giacomo Urbano aveva chiesto la condanna a quattro anni e mezzo per Iovine (cugino dell’ex capoclan dei Casalesi, oggi collaboratore di giustizia, Antonio Iovine) e pene più o meno simili per gli altri imputati, mentre i legali si erano opposti chiedendo il proscioglimento. Determinante, per la decisione del gup, è stata la questione preliminare avanzata da i legali di tutti gli imputati, secondo cui le intercettazioni, prova “regina” in questa indagine, era inutilizzabili perché i decreti che le autorizzavano avevano ad oggetto un’ipotesi di reato, ovvero la corruzione con l’aggravante mafiosa, diversa da quella contestata dalla Procura nella richiesta di rinvio a giudizio.
Erano ipotizzati soprattutto reati di falso in atto pubblico e turbata libertà degli incanti. La sentenza che ha tenuto conto anche della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione del febbraio 2020, che ha reso più rigido il ricorso alle intercettazioni, dichiarando inutilizzabili quelle autorizzate per un determinato titolo di reato, se poi nell’indagine in cui si usano si procede per un reato diverso; come accaduto proprio nell’inchiesta sull’ospedale di Caserta, in cui sono state usate intercettazioni di un precedente procedimento sempre relativo al nosocomio.
L’indagine che portò all’arresto di Iovine e di altre sei persone il 25 luglio 2017 fu condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli e costituì il prosieguo dell’indagine “madre”, realizzata sempre dalla Direzione investigativa antimafia (Dia), che due anni prima aveva portato all’arresto di 24 persone per appalti dati dall’ospedale ad aziende vicine al clan dei Casalesi, cartello di ospedale Caserta. Cosa che aveva portato nell’aprile 2015 anche al Commissariamento dell’azienda ospedaliera del capoluogo per infiltrazioni camorristiche (primo caso in Italia). Continuando ad indagare sull’ospedale, la Dia si era imbattuta nel “sistema Iovine”, definito dagli inquirenti una “lobby sanitaria” mediante la quale Iovine – andato in pensione a fine 2016, pochi mesi prima dell’arresto – affidava gli appalti ad aziende che gli assicuravano un profitto tramite il versamenti di soldi, buoni benzina e assunzioni; e poi effettuava con i collaboratori ispezioni dei servizi resi da tali imprenditori dichiarando falsamente che tutto andava bene, con disservizi che si ripercuotevano sui pazienti dell’ospedale. Ma l’ipotesi di corruzione è caduta nelle varie fasi processuali, mentre sono rimasti in piedi i reati di falso, in relazione ai quali la Procura aveva chiesto il processo per gli imputati.
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