Per le attività sociali svolte in un bene confiscato, la cooperativa Solesud onlus di Casal di Principe chiede, da 20 anni, ad Agrorinasce di essere pagata. La questione è diventata vicenda giudiziaria.
Il riutilizzo sociale dei beni confiscati è una sfida che non può essere persa. E’ ormai un assioma che mette tutti d’accordo e dal quale sarebbe impossibile prescindere. Quel che accade attorno ai beni restituiti alla collettività non è però mai un percorso in discesa e tantomeno facile. A Casal di Principe, la prima iniziativa attuata su di un bene confiscato di promozione della cultura della legalità, fiore all’occhiello di un progetto pilota in ambito europeo (PON Sicurezza), che ha accreditato Agrorinasce come modello di intervento per lo sviluppo di territori ad alta densità criminale, si poté realizzare solo grazie al sacrifico e al senso di responsabilità di giovani del posto, costituitisi nella cooperativa sociale Solesud onlus. Il riutilizzo venne sperimentato presso l’Università per la legalità e lo sviluppo, inaugurata nel 2000 in una villa confiscata a Gaetano Darione. Le attività vennero affidate all’Associazione Libera ‘Nomi e numeri contro le mafie’, con compiti di direzione scientifica di tutti gli interventi da attuare ed alla cooperativa sociale Solesud Onlus con compiti di supporto ed operativi, dopo aver vinto una gara d’appalto.
Furono tantissime le attività svolte, per più di due anni, dall’Università guidata da un Comitato operativo ed un autorevole Comitato scientifico. Completato il progetto, svolto regolarmente e senza alcuna contestazione, Libera venne pagata e alla cooperativa venne corrisposta solo una parte di quanto stabilito in contratto, rimanendo da liquidare 125.935 euro. Una cifra mai più data, che ha creato notevoli difficoltà economico-finanziare alla compagine sociale. Una cifra che rispetto alle decine di milioni di euro in lavori pubblici iscritti nei bilanci della società consortile, si sarebbe potuta in qualche modo corrispondere. Ne è scaturita una lunga vicenda giudiziaria, che ancora si trascina.
Agrorinasce portata in giudizio dalla cooperativa sociale
Nel 2006, la cooperativa ottiene, da un primo giudice un decreto ingiuntivo ma Agrorinasce si oppone. Nel 2012, un secondo giudice rigetta la sua opposizione. La società consortile fa appello. In quest’ultimo giudizio, prima di pronunciarsi il giudice chiede ad Agrorinasce di tentare una mediazione. Il tentativo, nonostante la volontà della cooperativa sociale di ricevere la sola cifra iniziale e di rinunciare, quindi, ai notevoli interessi moratori accumulati, fallisce miseramente dinanzi alla proposta di Agrorinasce di voler concedere soltanto il 40% (quindi chiedendo di rinunziare a ben il 60%) di quanto dovuto. Secondo Agrorinasce, nel contratto c’era una “clausola” che sospendeva il pagamento fino a che il Ministero degli interni/DPS non avesse erogato definitivamente i finanziamenti stanziati per il progetto.
Dove sono i soldi che erano destinati alla cooperativa sociale?
Sono però, oramai passati quasi 20 anni da quel progetto e, se fosse vero quanto afferma Agrorinasce, è lecito chiedersi: che fine abbiano fatto quei soldi e quanto ancora si dovrà aspettare? Nessuno, neanche Agrorinasce, ha mai contestato la quota capitaria che spetta alla Solesud onlus, che deve essere comunque liquidata. Quindi, perché la società consortile non ha accettato una transazione che ne avrebbe ridotto l’importo invece di farlo crescere quotidianamente? Una domanda che dovrebbero porsi soprattutto i sindaci dei Comuni aderenti ad Agrorinasce, che volente o nolente, dovranno far fronte agli interessi moratori di gran lunga superiori alla cifra iniziale. A chi giova tutto ciò? Tina Cioffo