Siamo alla fine del 2021 ma, spesso, invece che passi avanti, facciamo passi indietro.
È accaduto il 15 agosto di quest’anno: il presidente Ashraf Ghani ha lasciato l’Afghanistan per fuggire in Uzbekistan, lasciando che i talebani occupassero Kabul, imponendo il loro regime.
Diverse ambasciate sono state evacuate, i diplomatici sono stati trasferiti dal Paese in sicurezza, migliaia di cittadini si sono riversati sulla pista dell’aeroporto, nel disperato tentativo di trovare una via di fuga. Ma non c’è stato verso.
articolo a cura di Myriam Pellegrino*
Ad oggi l’intera Afghanistan, dopo vent’anni di intervento militare americano e della Nato, è di nuovo nelle mani dei talebani, che l’hanno resa un emirato islamico. Coloro che ne hanno risentito maggiormente sono come al solito le donne, alle quali non è più concesso studiare nelle scuole, lavorare fuori casa (fatta eccezione per alcune infermiere che prestano servizio all’ospedale di Kabul), usare cosmetici, ridere ad alta voce, andare in taxi senza un mahram, apparire in televisione o in radio, o semplicemente al proprio balcone, fotografare o filmare un avvenimento, indossare tacchi alti, praticare sport. Allo stesso tempo vige l’obbligo secondo il quale le donne debbano indossare il burqa in luoghi aperti e in presenza di uomini. Contro coloro che non rispettano tali leggi è consentito usare botte, frustate e violenza verbale, nonché lapidazione pubblica in caso di adulterio. Ma mentre in Italia rimaniamo pietrificati da tanta efferatezza, nella stessa Kabul l’11 settembre, 300 donne velate hanno marciato a sostegno dei talebani, innalzando la loro bandiera e sostenendo che a loro spetti occuparsi della maternità e dei lavori domestici piuttosto che ricoprire cariche politiche o dedicarsi allo studio. Tali donne non conoscono una vita differente da quella che da sempre sono abituate a vivere. Sono cresciute in un ambiente che vieta loro di scegliere chi amare, di realizzare i propri sogni, coltivare le proprie passioni, essere semplicemente se stesse. Ciò che a noi sembra surreale, per loro è la normalità. Eppure per ogni donna a cui questa vita sta bene, c’è sempre un’altra donna che agogna la libertà. A testimonianza di quanto appena citato, Mahjabin Hakimi, giovane pallavolista di etnia hazara, nei primi di ottobre è stata decapitata dai Talebani perché non solo aveva giocato a pallavolo nonostante il regime talebano l’avesse rigorosamente proibito, ma aveva anche deciso di farlo a viso scoperto, senza indossare il famoso hijab. Fine altrettanto drammatica è stata quella di Frozan Safi, attivista e docente di economia, uccisa brutalmente a colpi di proiettili. Frozan ed altre tre donne stavano cercando di uscire dal Paese, spaventate dal nuovo regime, ed erano state “attirate” in una casa di Mazar-i-Sharif da due uomini che avevano promesso loro di aiutarle a fuggire. Dopo due settimane dalla scomparsa di Frozan Safi, l’attivista afghana è stata ritrovata senza vita, il corpo crivellato di colpi d’arma da fuoco e il volto sfigurato.
*studentessa Liceo Garofano di Capua