Chi lo ha ucciso e perché lo ha fatto non è stato ancora scoperto ma per il Ministero dell’Interno, l’istanza di riconoscimento come vittima innocente di Adriano Della Corte è tardiva. Stamattina, il fratello Arturo si è recato fuori al Viminale nel tentativo di richiamare l’attenzione del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Da giorni in quello stesso posto c’è anche Luigi Leonardi, testimone di giustizia che da due mesi ha rinunciato alla scorta dopo che, “dalla prefettura di Caserta – ha denunciato- mi hanno comunicato che dovevo provvedere io all’acquisto dell’auto per la scorta senza la quale non potevo usufruire del programma di protezione previsto per testimoni di giustizia”.
“Non so più a chi e a cosa appellarmi, spero solo che qualcuno si accorga della mia famiglia e di tanti altri familiari che attendono di incontrare il ministro Salvini. I nostri cari uccisi per errore e senza colpa non possono essere trattati come pezze per i piedi. Adriano, mio fratello era giovane quando fu ammazzato e da allora nessuno di noi si è dato pace“, spiega Arturo Della Corte mentre non perde di vista l’ingresso del Ministero nella speranza che qualcuno esca dagli uffici e lo ascolti. In mano ha il decreto di rigetto che gli è arrivato dagli uffici dell’Interno, a firma della responsabile del procedimento Antonella Buono, nel quale si dice che è tardi. Solo di recente però e a seguito di una richiesta di riapertura indagine presso la Dda di Napoli sono emersi nuovi elementi. Dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, è possibile infatti dire con qualche certezza in più che Adriano Della Corte fu ucciso per un errore di persona.
Ma allora perché è tardi? E che fine ha fatto lo spirito solidaristico che dovrebbe contraddistinguere le decisioni del Ministero dell’Interno? Tutti quelli che sono stati riconosciuti vittime innocenti sono arrivati tutti in tempo o c’è in atto un atteggiamento discriminatorio che stabilisce a chi si e a chi no, non sulla base del diritto ma della burocrazia? I familiari delle vittime chiedono di essere ricevuti da oltre un anno. A settembre hanno scritto una missiva indirizzata non solo al ministro Matteo Salvini ma anche al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro per lo Sviluppo economico, Luigi Di Maio.
I Fatti
Adriano Della Corte aveva 18 anni quando fu ucciso. Da quel tragico giorno, il 15 luglio del 1984, la famiglia non trova pace. Il padre Vincenzo per diverso tempo ha tentato di far riaprire il caso scrivendo al giudice istruttore, chiedendo in giro e facendo pubblicare annunci su alcuni settimanali. Nell’85 fece un vero e proprio appello agli assassini dalle pagine di alcune riviste. I fratelli di quel ragazzo che frequentava l’ultimo anno dell’istituto di Ragioneria, per anni hanno raccolto verbali, tentato di registrare testimonianze ed indiscrezioni.
Il 15 luglio dell’84, era di domenica, Adriano Della Corte uscì con due amici, Claudio Diana e Carmine Petrillo. I tre ragazzi a bordo di una Fiat Uno di colore nero, che la vittima aveva comprato due mesi prima grazie ad una vincita al Totocalcio, si trovavano a Castel Volturno in via Consortile in località «Lago Piatto» all’altezza del Cinema Arena Lido, quando ad un certo punto si affiancò una Lancia Prisma. Adriano era alla guida ed un uomo, rimasto ignoto, cominciò a sparare colpendolo in pieno volto, con un fucile. Il diciottenne morì subito mentre Diana e Petrillo rimasero feriti. Subito dopo l’omicidio gli assassini si misero in fuga a bordo della Prisma, che venne poi ritrovata abbandonata ed incidentata. Per scappare i due omicida rapinarono cinque auto: un’Alfa Sud, una Giulietta, una Renault 5, una Renault 18 e un’ Alfetta bianca. A Villa Literno a bordo di quest’ultima i malviventi vennero intercettati da un’auto della polizia ma non vennero fermati. Non vennero ascoltati i testimoni, non vennero rilevate le impronte lasciate nelle auto rubate, non venne fatto un identikit dei responsabili, non vennero messe al confronto le versioni contrastanti.