Il clan dei Casalesi continua ad essere pienamente operativo nel Casertano, in particolare nei comuni di Trentola Ducenta, San Marcellino e Lusciano. É quanto emerge dall’ultima indagine della Dda di Napoli – sostituti Vincenzo Ranieri e Luigi Landolfi – che ha portato all’arresto da parte dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta di 17 persone per reati di associazione camorristica, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti e di armi. I provvedimenti cautelari – 14 in carcere e 3 ai domiciliari – sono stati emessi dal Gip del tribunale partenopeo e riguardano la fazione Schiavone della federazione criminale casalese.
In carcere i figli di camorra
Tra coloro che sono finiti in cella figurano «figli d’arte» e il 62enne Giacomo Capoluogo, ritenuto il cassiere del clan, storico affiliato da sempre vicino alla fazione Zagaria negli ultimi anni più vicino agli Schiavone; e il 46enne Salvatore Fioravante, detto «porcellino», anch’egli volto noto del clan. E’ emerso che a tirare le redini del clan, accanto agli «anziani», sono soprattutto i «figli d’arte» che perpetuano il potere dei genitori tutelandone gli interessi. In mamette il 28enne Oreste Diana, figlio dell’esponente di spicco Giuseppe Diana, e il 30enne Giuseppe Cantone, figlio di Raffaele detto «malapelle», storico capozona del clan a Trentola Ducenta; Diana viene indicato dal Gip come «persona di fiducia di Ivanhoe Schiavone», figlio del capoclan Francesco «Sandokan» Schiavone.
Estorsione, l’affare che continua
I due «rampolli,» finiti in carcere, si occupavano di estorsioni alle imprese – sono arrivati a chiedere ad imprenditori somme fino a 60mila euro, o prestazioni d’opera come la ristrutturazione di casa in luogo dei soldi – e di gestire materialmente le piazze di spaccio per la vendita della droga, cresciute dopo gli arresti di tutti i capi del clan, che non volevano occuparsi del business degli stupefacenti anche per evitare il controllo costante sul territorio da parte delle forze dell’ordine. Ai giovane era stato dato il ruolo operativo mentre padri e zii supervisionavano indicando gli imprenditori cui chiedere il pizzo; molti operatori hanno confermato le accuse riscontrate dagli inquirenti, ma altri sono stati invece reticenti confermando il muro di omertà che ancora regge sul territorio. In particolare Capoluongo – è emerso – gestiva entrate e uscite del clan, ed era un punto di riferimento per gli altri affiliati, l’altro esponente esperto Fioravante sovrintendeva invece allo spaccio occupandosi dell’approvvigionamento della droga, specie di cocaina, che veniva acquistata tramite sue conoscenze nel quartiere napoletano di Secondigliano e portata nel Casertano attraverso due corrieri, entrambi arrestati. La marijuana, ma anche le armi, venivano inoltre acquistate tramite un gruppo di albanesi attivi nel Casertano, che le importavano dal proprio Paese facendole giungere in Italia attraversi porti pugliesi; tre membri del gruppo sono finiti in carcere per il traffico di armi e droga e perché gestivano un giro di prostitute tra Napoli e Caserta. Erano Diana e Cantone a tenere i contatti con gli albanesi. Diana, oltre a gestire la piazza di spaccio, aveva anche un punto di scommesse sportive, intestato a prestanomi.