I rifiuti di Napoli e Salerno bruciati a Milano. Scoperto dalla Dda di Milano un vasto traffico illecito di rifiuti. Ordinanza di custodia cautelare per 15 persone. Due arresti in provincia di Caserta
Dov’erano finiti i rifiuti usciti dalle case dei cittadini campani, di Napoli e Salerno? Bruciati in un capannone del quartiere Bovisasca, periferia di Milano. Erano finiti nel rogo che lo scorso 14 ottobre sprigionò diossine e furani, come rivelarono le indagini dell’Arpa Lombardia, nel deposito della Ipb srl, che stoccava i rifiuti senza alcuna autorizzazione. Da quell’incendio, sono scaturite le indagini della Dda di Milano nell’ambito delle quali oggi è scattata un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 15 persone (di cui 8 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 3 con l’obbligo di dimora nel comune di residenza) “responsabili a vario titolo di traffico illecito di rifiuti, attività di gestione non autorizzata e intestazione fittizia di beni”.
E’ stato ricostruito così un vasto traffico illecito di rifiuti che arrivavano soprattutto dalla Campania, in particolare dalla raccolta dei rifiuti domestici di Napoli e Salerno, in gran parte materiale plastico bruciato quel giorno e che avrebbe portato ai soggetti coinvolti un profitto illecito di circa 1 milione di euro.
Una montagna di rifiuti alta 5 metri su un campo di calcio
Dopo quattro mesi e mezzo di indagine la squadra Mobile della Polizia, in collaborazione con i carabinieri del Noe e sotto il coordinamento della direzione distrettuale Antimafia di Milano, diretta da Alessandra Dolci, sono riusciti ad individuare i titolari della discarica abusiva e responsabili del traffico illecito che riguarderebbe almeno 37mila metri cubi di rifiuti. Non sono ancora sufficienti le informazioni raccolte per addebitare ai soggetti anche l’aver appiccato materialmente l’incendio e non è stata attribuita l’aggravante mafiosa. I rifiuti dovevano essere destinati o a termovalorizzazione o ad altri impianti, invece erano stati accumulati all’interno di capannoni con un notevole risparmio sui costi di smaltimento.
“Se si tiene conto – ha detto Alessandra Dolci in conferenza stampa – che i rifiuti venivano presi ottenendo un guadagno che andava dai 130 ai 160 euro, si può immaginare che non spendendo altri soldi per lo smaltimento legale, i profitti erano davvero notevoli”. I rifiuti andati in fiamme avrebbero potuto formare una montagna alta cinque metri su un intero campo di calcio
Nonostante il clamore mediatico suscitato dall’incendio, il sodalizio criminale in modo spregiudicato aveva continuato a smaltire illecitamente i rifiuti in depositi tra Venezia, Lodi e Verona.
Arresti in provincia di Caserta
A capo dell’organizzazione che aveva diramazioni su tutto il territorio nazionale c’era Aldo Bosina, di 55 anni, amministratore della Ipb Italia srl, ritenuto “promotore e organizzatore del traffico di rifiuti”. La Ipb Italia aveva preso in affitto il sito della Bovisasca il primo marzo del 2018 dalla Ipb Srl, società proprietaria dell’area, cominciando immediatamente a stoccare rifiuti pur non avendo le autorizzazioni dovute.
Bosina ha precedenti per truffa e associazione a delinquere ed è anche indagato per calunnia perché, “sapendolo innocente, ha simulato tracce del reato di gestione illecita di rifiuti a carico di un dipendente straniero della società”. In manette anche il 61enne Giancarlo Galletti, direttore del deposito; insieme a Mauro Zonca, 59 anni, amministratore di diritto della stessa società fino a giugno del 2018. Arrestato anche Massimo Sanfilippo, 50enne, amministratore di fatto della Winsystem Groups srl, che faceva da intermediaria nel traffico di rifiuti diretti ai capannoni di via Chiasserini, Verona San Massimo (Verona) e Meleti (Lodi); Pietro Ventrone, 35enne di Maddaloni (Caserta) è invece l’amministratore della Waste Solution srl, anche questa con funzioni di intermediaria.
Ventrone gestiva anche la Gea Log srl, impresa di trasporti che organizzava i camion diretti verso i siti illegali e ha precedenti specifici per gestione non autorizzata di rifiuti e sversamento di sostanze pericolose. Figura chiave dell’inchiesta è poi Valentino Bovini, 45 anni, camionista della Gea Log, che ha contribuito di fatto al trasporto e all’individuazione di alcune aree dove poi sarebbero state portate le ecoballe provenienti in gran parte dalla Campania. Agli arresti anche Joskwa Colombo, di 44 anni, amministratore di diritto della Winsystem Groups.
Reato ambientale è solo reato mafioso?
L’inchiesta della Dda di Milano, preceduta da quella della pm Silvia Bonardi che solo qualche mese fa ha portato alla luce un altro giro di gestione illecita in Lombardia, a seguito di un incendio in una piattaforma di Corteleona, ha messo in evidenza che il traffico illecito dei rifiuti non sempre è imputabile solo e soltanto ai mafiosi. Certo, Dolci ha lasciato intendere in conferenza stampa che potrebbero esserci altri sviluppi, ma al momento si tratta solo di ipotesi. Per molto tempo si è pensato che la gestione illecita dei rifiuti e l’inquinamento fossero una prerogativa del clan dei Casalesi o di altre associazioni criminali, salvo poi scoprire ciò che man mano le indagini confermano e cioè che i crimini ambientali vengono commessi da imprenditori e professionisti senza scrupoli. In questo caso lo stoccaggio nei capannoni e l’incendio che cancella ogni traccia, è da considerarsi la nuova modalità di tombamento dei rifiuti. I soggetti coinvolti nell’inchiesta avevano fatto sparire formulari e registri di carico e scarico dei rifiuti e gli unici documenti trovati erano stati nascosti nella cantina dei genitori di uno degli indagati.
Inversione di rotta: i rifiuti dal Sud al Nord
La nuova inchiesta milanese evidenzia un fenomeno che vede l’inversione della rotta per i rifiuti che una volta venivano mandati dal Nord al Sud, oggi invece dal Sud vengono dirottati verso il Nord. Gli investigatori sono sulle tracce dei rifiuti che prendono poi la strada dei Paesi dell’Est, viaggiando su gomma e sfuggendo ai controlli. Ad incentivare il fenomeno del traffico illecito, per Dolci sono anche i costi esorbitanti di smaltimento diventati più alti da quando la Cina ha detto no all’importazione dei rifiuti dai Paesi occidentali. Segno che il sistema di raccolta, che produce scarti dalla costosa e complessa destinazione, si reggeva su presupposti che alla luce di quanto sta accadendo nel Paese andrebbero quantomeno rivisti.