Viveva a Castel Volturno, diventata la sua base operativa ma si spostava in Italia e soprattutto in Piemonte a Torino, per organizzare il traffico di prostituzione nell’hinterland torinese. C’è donna di stanza nel casertano, tra le 8 donne e 3 uomini di origine nigeriana arrestati dai carabinieri con le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.
Prostituzione da Castel Volturno a Torino
Una delle donne coinvolte nella vicenda viveva stabilmente a Castel Volturno, area delle domiziana dove il dramma della prostituzione è tristemente noto. La donna di origine nigeriana, così come gli altri destinatari della misura cautelare emessa dal Gip del tribunale di Torino su richiesta della locale procura, è stata arrestata dai carabinieri del reparto territoriale di Mondragone. Insieme con altre persone gestiva un traffico di prostituzione che alimentava l’hinterland torinese, ma la stessa continuava a vivere a Castel Volturno intessendo rapporti anche con la malavita locale a Castel Volturno.
Traffico di essere umani, l’approdo a Lampedusa
Le indagini condotte dal dicembre del 2016 al febbraio del 2018 hanno consentito di documentare l’esistenza di una rete criminale, articolata e gerarchicamente strutturata (sita in Italia, Nigeria e Libia), dedita al reclutamento in Nigeria di almeno 18 giovani donne da introdurre clandestinamente in Italia su percorsi prestabiliti transahariani (con varie tappe in centri smistamento fra Niger e Libia), ai fini dell’imbarco su natanti di fortuna verso l’isola di Lampedusa con successiva destinazione in centri di accoglienza italiani. In questi centri, secondo le indagini, le donne venivano poi prelevate da criminali per essere messe sulla strada per prostituirsi.
25 mila euro per ripagare il viaggio ed i riti voodoo
Le donne venivano ridotte letteralmente in schiavitù, sia psicologica che fisica impaurite da riti voodoo e pozioni magiche attraverso il rituale ‘juju‘ attuato direttamente in Nigeria. Le ragazze venivano anche picchiate e intimorite attraverso le minacce di ritorsioni verso i familiari rimasti in patria. Sotto queste minacce venivano fatte prostituire, ma la maggior parte dei soldi che guadagnavano venivano ridati agli aguzzini poiché le ragazze dovevano ripagare il viaggio affrontato per arrivare in Italia che costava circa 25 mila euro, inoltre con quei soldi dovevano pagare anche il ‘canone’ di locazione delle piazzole occupate per l’esercizio del meretricio. Pratiche comuni anche a Castel Volturno, come documentato nell’inchiesta de Ireporters.it sul dramma della prostituzione, dove sono state segnalate connection house anche a Villa Literno a Casal di Principe. Anche in questo caso il fenomeno della prostituzione, che coinvolge non solo l’area della domiziana ma anche la provinciale tra Teverola, Santa Maria Capua Vetere e Capua, è composto da tante donne sfruttate. Ragazze che devono pagare il fitto del terreno su cui sono costrette a prostituirsi, come avviene ad esempio lungo la provinciale Trentola-Ischitella, oltre a dover risarcire agli aguzzini quel viaggio della speranza affrontato per arrivare in Italia.