L’Europa salva, l’insegnante senegalese: Barça o Barsaax, mito da sfatare

Barça o Barsaax, uno dei detti per incoraggiare i migranti, per un giovane senegalese è solo un mito da sfatare. La storia di Matar Coura Gueye racconta un’altra parte della migrazione. Un punto di vista diverso, spesso completamente trascurato.

di Tina Cioffo

Matar Coura Gueye ha un mix di doti che potrebbero portargli soddisfazioni e successi, tutto quello che un ragazzo di 34 anni avrebbe il diritto di desiderare ed invece ha imparato presto a dover sperare in un domani migliore. La sua, è una storia atipica per il mondo dei migranti arrivati a Castel Volturno. Viene dal Senegal e l’Italia l’ha sempre sognata per vedere con i suoi occhi, quello che gli autori classici gli avevano insegnato attraverso gli scritti. È laureato in Lingua e Cultura Italiana, un titolo che gli ha consentito di diventare insegnante ma il percorso di studi non è stato semplice. Ad un certo punto della sua carriera, ha rivendicato il diritto di poter visitare l’Italia per approfondire lingua e studi. Per lasciare il Senegal aveva però bisogno di un permesso e così Coura Gueye ne fa richiesta. L’istanza gli viene rifiutata. L’insegante con il desiderio di studiare ancora, ritenta ma ottiene il rigetto anche la seconda volta. “Dinanzi ai permessi negati, decisi che insegnare era inutile. Lo dissi espressamente in un convegno. Parlavano di cultura e di fiducia ma intanto, rifiutandomi l’autorizzazione per tre volte, non si erano fidati”.

Sembrava tutto perso ma non fu così. In quel convegno Matara Coura Gueye incontrò un docente volontario dell’associazione Terra di Incontro onlus, che decise di dargli un’occasione: poteva venire in Italia però nel giro di una settimana avrebbe dovuto sostenere un esame all’ Università Orientale di Napoli. Un’impresa impossibile ma non per l’insegnante senagalese. “Imparai tutto quel che dovevo, discussi l’esame, lo superai, tornai in Senegal e – racconta Coura Gueye- dimostrai con documenti alla mano di poter meritare il visto lungo di soggiorno per un anno per motivi di studio. Il permesso che mi avevano rifiutato per tre anni me lo concessero in due ore e con il visto in tasca ricominciai a sognare”. La madre per pagare il suo viaggio fu costretta a vendere il letto del figlio e la famiglia contribuì. “Non avevo più un posto nel mio paese ma mi sentivo ugualmente vincente. Avevo dimostrato a tutti di non aver avuto torto e che studiando potevo farcela. Pensavo di poter visitare i posti belli italiani che avevo letto nei libri come I Malavoglia di Giovanni Verga, Il Gattopardo di Tommaso di Lampedusa, La luna e i falò di Ignazio Silone. E anche quei posti che aveva studiato sui libri di geografia, visto nei documentari”. Un desiderio bello, normale e legittimo ma non per Matar dal Senegal. In Italia arriva ma a Castel Volturno, definita la capitale multietnica della provincia di Caserta e della Campania, accolto al Centro Fernandes.

Fino a quel momento non sapeva neppure cosa fosse un Centro di temporanea accoglienza. Nemmeno sapeva cosa volesse dire abitare a Castel Volturno, capendolo qualche giorno dopo quando per arrivare all’Università impiegò sei ore di viaggio aspettando i pullman che da queste parti non arrivano mai. Sei ore che lo avrebbero potuto portare dall’altro capo del mondo ma Castel Volturno dista da Napoli, sede universitaria, poco meno di 50 chilometri. Un tragitto che normalmente, lo percorri in una quarantina di minuti. “Arrivavo al corso di Linguistica già stanco e un giorno – ricorda– il professore mi chiese per quale motivo non riuscissi a tenere gli occhi aperti. Gli spiegai cosa ero costretto a fare ma quello fu anche il momento in cui compresi che lasciandomi trasportare dagli eventi non mi sarei mosso dal punto raggiunto. Capii che dovevo cambiare il mio atteggiamento mentale, senza piangermi addosso”.

Matar Coura Gueye è venuto in Italia per studiare, per vedere, per imparare e non al suono del detto Barça o Barsaax (vai a Barcellona o muori’). È lo slogan dei senegalesi che si sono seduti sulle piroghe arenatesi nelle isole Canarie. È la sintesi del grande desiderio di fare fortuna in Europa anche se per arrivarci devi sopportare viaggi senza alcuna garanzia di sopravvivenza. Gli Haalpu Laar della valle del Fiume Senegal, dicono: “Se hai un figlio, lascialo andare, un giorno tornerà o con i soldi o con le conoscenze o con entrambe le cose”, oppure “Devi avere soldi o morire lontano da casa” e ancora “E’ meglio soffrire all’estero che rimanere poveri a casa”. Per i Wolof “Chi non viaggia non sa mai dove è meglio vivere” e così pure “Chi torna da un viaggio e diventa brutto non era bello nel paese in cui viveva”.

Matar Coura Gueye, si è laureato nel mese di aprile 2022. “I miei colleghi di corso mi chiedevano perché avessi l’ansia di discutere subito la tesi. E come fai a far capire che il tuo destino è appeso ad una firma su un foglio per darti più o meno il visto?”. Dopo la laurea ha fatto diversi lavori, prima presso un’associazione di Castel Volturno, poi nel Gargano dove con un incarico come barista. “Non avevo mai lavorato come barista ma quel lavoro mi dava la possibilità di visitare un’altra parte di Italia e così mi sono impegnato a farlo bene. Il mio ‘sogno intellettuale’ è riuscire a vedere di persona tutte quelle città italiane che mi hanno fatto innamorare della cultura italiana studiata sui libri”. Ha visto Recanati sulle orme di Giacomo Leopardi, Venezia per Carlo Goldoni e non solo. “C’è molto altro ancora da vedere e spero di averne la possibilità. Ho delle competenze e conoscenze ma ho capito che spesso questo non conta e sebbene faccia domanda per avere degli incarichi conseguenti ai miei studi, la scelta ricade sempre su qualcun altro”. Per qualche mese Matar ha lavorato anche per il Polo sociale migranti a Castel Volturno come operatore sociale. Il lieto fine è ancora però lontano.

La conclusione– dice– è ancora lontana e non sarà quella del migrante salvato da un altro Paese, tagliando tutti i ponti con le sue origini”. “Le cose però non stanno così, il viaggio non è la salvezza. Potremmo salvarci solo se riuscissimo a capire che il benessere in Europa è solo un mito e io farò di tutto per sfatarlo. Qui si lavora per vivere ma in realtà non vivi”, dice Matar che confessa: “se diciamo che la vita qui non è affatto come l’avevamo immaginata e che siamo continuamente vittime di privazioni a volte inaccettabili, ci credono dei bugiardi”. Pensano che vogliamo tenerci le fortune solo per noi ed invece basterebbe far vedere dei filmati, parlare alla gente in ogni singolo villaggio. Il denaro che con tanti sacrifici si mette da parte per poter venir in Europa potrebbe invece essere impiegato nelle nostre Terre creando sviluppo ed occupazione, là dove siamo nati. Solo così, credo, potremmo davvero salvarci, davvero”. Il ragazzo sognatore è oramai un ragazzo disincantato.

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