Nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Pasquale Fontana e Giuseppe Santoro, ai vertici della pasticceria Butterfly di via Petrillo a Casapesenna, c’è un altro scenario da tenere conto: ovvero quello della richiesta di sequestro preventivo contenuta all’interno dell’ordinanza che ha portato all’arresto dei pasticcieri di Casapesenna, accusati di essere vicinissimi al clan dei Casalesi fazione Zagaria.
Pasticceria Butterfly: la richiesta di sequestro preventivo
Ci sono rapporti finanziari dislocati in varie banche, terreni, ciclomotori, autovetture da grandi e potenti come le Mercedes a utilitarie come le Fiat Panda, ma anche società, partecipazioni ad acquisizioni di immobili, buoni fruttiferi, polizze assicurative a la pasticceria di famiglia, tra le richieste di sequestro preventivo contenute nell’ordinanza che ha portato all’arresto di Giuseppe Santoro e Pasquale fontana indicati come pasticcieri della camorra, in un’inchiesta portata avanti dalla squadra mobile di Caserta in collaborazione con la Dia di Bologna, Napoli e Firenze. Le richieste di sequestro preventivo non sono scattate solo per i beni intestati a Giuseppe Santoro, il re dei dolci low cost a Casapesenna, grazie alla pasticceria Butterflty di via Petrillo, ma anche per la moglie ed i figli dell’arrestato.
Richiesta di sequestro sono state applicate anche per Fontana Pasquale ed il suo nucleo familiare. In questo caso si parla principalmente di conti correnti sia bancari che postali, intestati a Pasquale Fontana ma anche alla moglie, ma anche buoni fruttiferi presso Poste e polizze assicurative stipulate con tante compagnie diverse.
I punti vendita a ‘marchio’ Butterfly
Oltre alla tipologia di beni, la polizia ha messo gli occhi anche su venti punti vendita dislocati in quattro regioni italiane riconducibili sempre alla società Butterfly. I punti vendita finiti nel mirino dei magistrati sono quelli di: San marco Evangelista, Sessa Aurunca, Capodrise, Cellole, Casapulla, Santa Maria Capua Vetere, Pollena Trocchia, Baiano, Nola, Acerra, Frattamaggiore, Afragola, Caivano, Miramare di Rimini e Pescara. Alcuni di questi punti vendita erano direttamente a nome Butterfly, per altro erano stati stipulati contratti di locazione da terzi, mentre per altri ancora veniva utilizzato il marchio ‘Divinità’. Secondo gli inquirenti questa fitta rete di punti vendita dislocati sul territorio nazionale sarebbero stati utilizzati dai due arrestati non solo per far lavorare persone indicate dal clan, ma anche per alimentare le casse della fazione guidata da Michele Zagaria. Secondo i sette pentiti che hanno parlato di Santoro e Fontana alla Dda, i pasticcieri sarebbero stati aiutati finanziariamente proprio dall’ex capoclan in un momento di difficoltà.