Con la somministrazione dei primi vaccini anticovid, si alimenta la speranza. Gli studenti della redazione del Garofano di Capua si interrogano su un anno di pandemia.
È ormai passato un anno da quando abbiamo sentito per la prima volta la parola “Covid”. All’inizio abbiamo tutti pensato, ingenuamente, che fosse qualcosa di esotico, relegato ai territori dell’Estremo Oriente dove si era manifestato e risolvibile in breve tempo. Abbiamo poi scoperto che non era così, e stiamo ancora pagando il prezzo degli errori commessi. Oggi, però, a differenza di un anno fa, abbiamo una speranza molto più concreta: i vaccini e le prime cure contro Covid-19. I primi vaccini ad essere stati approvati nell’Unione europea sono stati quelli di Pfizer-Biontech e Moderna.
Cosa sono?
Sono entrambi a mRNA, cioè consistono in una molecola di acido ribonucleico messaggero (mRNA) circondata da una capsula di grassi che funge da protezione. L’mRNA, infatti, è una molecola molto fragile, ma svolge un ruolo fondamentale nel nostro organismo: trasmette le informazioni contenute nel DNA ai ribosomi, che hanno poi il compito di interpretare queste informazioni per produrre le proteine. Nei vaccini sopracitati l’RNA codifica la proteina Spike, quella che permette al coronavirus di entrare nelle cellule dell’organismo e infettarlo. Con l’inoculazione del vaccino, che rimane nel corpo per breve tempo prima di degradarsi naturalmente, viene prodotta la proteina Spike e conseguentemente gli anticorpi per contrastarla; in questo modo, se un domani il vaccinato dovesse infettarsi, disporrebbe già degli anticorpi per neutralizzare il virus. Il terzo e per ora ultimo vaccino ad essere stato approvato, quello sviluppato dall’Università di Oxford e da AstraZeneca, utilizza una tecnologia differente dai primi due: il vettore virale. Questa consiste nell’utilizzare un virus già noto reso incapace di replicarsi (in questo caso l’adenovirus dello scimpanzé) come vettore per trasmettere alle cellule le informazioni per sintetizzare la proteina Spike.
Efficacia
I vaccini a RNA hanno entrambi un’efficacia molto alta, intorno al 95%, ma devono essere conservati a temperature estremamente basse. Di contro, il vaccino AstraZeneca ha un’efficacia minore (ma comunque significativa), circa il 60%, ma è più economico e facile da conservare. Inoltre, attualmente, in Italia le due tipologie di vaccini vengono usate su categorie diverse: quelli a RNA sui soggetti a rischio come gli anziani o gli immunodepressi, quello di AstraZeneca, a causa di una poca disponibilità di dati sulla sicurezza per gli over 55, preferibilmente sui soggetti tra i 18 e i 55 anni. Tutti i vaccini approvati finora necessitano dell’inoculazione di due dosi per raggiungere il massimo dell’efficacia. Oltre ai vaccini, che hanno una funzione preventiva, sono stati approvati recentemente dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) gli anticorpi monoclonali (MAb) prodotti da Regeneron ed Eli Lilly. I MAb sono degli anticorpi che attaccano un bersaglio molto specifico, in questo caso la solita proteina Spike del coronavirus, impedendo al patogeno di entrare nelle cellule dell’organismo. Di solito questa terapia viene utilizzata con altri tipi di malattie (oncologiche, ematologiche e autoimmuni), ma l’assenza di altre cure ha portato alla necessità di sviluppare anticorpi monoclonali anche per Covid-19. Ad ogni modo, i MAb sono estremamente costosi e possono essere utilizzati solo nella prima fase della malattia, per prevenire l’aggravarsi della patologia in soggetti già a rischio. La pandemia è tutt’altro che finita e il virus, con tutta probabilità, ci terrà sotto scacco ancora per qualche mese. Oggi, però, vediamo la famosa “luce in fondo al tunnel”.